Omelia (25-11-2001)
Paolo Curtaz
Che razza di Re!

Fine. Anzi, no: inizio. Oggi si conclude l'anno liturgico, anno passato con Luca, discepolo di Paolo, che ci ha insegnato ad essere discepoli. E - al solito - l'anno si conclude con la festa di "Cristo Re dell'Universo". Nostalgie monarchiche della Chiesa? No, certo: ma invito ultimo a riflettere su chi è Dio e su chi è il discepolo di questo Dio. Tenetevi ai braccioli della poltrona, perché ciò che oggi leggiamo è il non-senso di Dio, la negazione dei nostri (falsi) ogni. Non siamo più o meno tutti convinti che Dio sia Eterno, Onnipotente, Onnipresente, Assoluto, eccetera? Non ce lo vediamo che sovrasta l'Universo e la Storia, girando - impercettibilmente - lo sguardo sulle sue creature? Non ci sgoliamo nelle preghiere scocciati e affranti quando non veniamo esauditi? Tutto vero. Abbastanza. Perché questo Dio è più sconfitto di tutti gli sconfitti, fragile più di ogni fragilità. Un re senza trono e senza scettro, appeso nudo ad una croce, un re che necessita di un cartello per identificarlo. Ecco: questo è il nostro Dio, un Dio sconfitto. Ma un Dio sconfitto per amore, un Dio che - inaspettato - manifesta la sua grandezza nell'amore e nel perdono. Dio - lui sì - si mette in gioco, si scopre, si svela, si consegna, si ostende. Dio non è nascosto, misterioso: è evidente, provocatoriamente evidente; appeso ad una croce, apparentemente sconfitto, gioca il tutto per tutto per piegare la durezza dell'uomo. Gesù è venuto a dire Dio, a raccontarlo. Lui, figlio del Padre ci dona e ci dice veramente chi è Dio. E l'uomo replica. "No, grazie". Forse preferiamo un Dio un po' severo e scostante, sommo egoista bastante a se stesso, potente da convincere e tenere buono. Forse l'idea pagana di Dio che ci facciamo ci soddisfa maggiormente perché ci assomiglia di più, non ci costringe a conversione, ci chiede superstizione; non piega i nostri affetti, solo li solletica.

La chiave di lettura del vangelo di oggi è tutta in quell'inquietante affermazione della folla a Gesù: "Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso". Vero: per noi il potente salva se stesso, può permettersi di pensare solo a se, ha i mezzi per essere soddisfatto, senza bisogno degli altri. Dio è ciò che non possiamo permetterci di essere. E' la proiezione dei nostri più nascosti e inconfessati desideri, è ciò che ammiriamo nell'uomo politico riuscito, ricco e sicuro.

No, il nostro Dio non salva se stesso, salva noi, salva me. Dio si autorealizza donandosi, relazionandosi, aprendosi a me, a noi.

I due ladroni - infine - sono la sintesi del diventare discepoli. Il primo sfida Dio, lo mette alla prova: se esisti fa' che accada questo, liberami da questa sofferenza, salva te stesso (di nuovo!) e noi, e me. Concepisce Dio come un re di cui essere suddito. Ma a certe condizioni, ottenendo in cambio ciò che desidera: una redenzione in extremis. Non ammette le sue responsabilità, non è adulto nel rileggere la sua vita, tenta il colpo. Non è amorevole la sua richiesta: trasuda piccineria ed egoismo. Come - spesso - la nostra fede. Cosa ci guadagno se credo?

L'altro ladro, invece, è solo stupito. Non sa capacitarsi di ciò che accade: Dio è lì che condivide con lui la sofferenza. Una sofferenza conseguenza delle sue scelte, la sua. Innocente e pura quella di Dio. Ecco l'icona del discepolo: colui che si accorge che il vero volto di Dio è la compassione e che il vero volto dell'uomo è la tenerezza e il perdono. Nella sofferenza possiamo cadere nella disperazione o ai piedi della croce e confessare: davvero quest'uomo è il Figlio di Dio.

Che re, sbilenco, amici. Un re che indica un altro modo di vivere, che contraddice il nostro "salvare noi stessi" per salvare gli altri o - meglio - per lasciarci salvare da Lui.

Di quale Dio vogliamo essere discepoli? Di quale re vogliamo essere sudditi?

Bene: un ciao a Luca, arrivederci fra tre anni. Domenica prossima, con l'avvento, inizieremo l'anno nuovo in compagnia di Matteo, il pubblicano Levi. Ne vedremo delle belle!