| Omelia (14-12-2025) |
| Paolo De Martino |
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Dubbi Il Battista va in tilt. Lui aveva annunciato un Messia con l'ascia in mano, pronto a separare il grano dalla paglia, a fare pulizia tra i giusti e i peccatori. Ma quando arriva Gesù, la scena cambia: niente castighi, niente tuoni, niente sentenze. Solo amore. Un amore che non fa selezione, che splende come un sole ostinato su chi lo merita e su chi no. Perché Dio, in Gesù, non giudica: ama. Ama tutti. E questa immagine di un Dio così diverso da quello che Giovanni si aspettava... lo spiazza. Lo manda in crisi. Con Gesù finisce l'era delle religioni fatte di rituali, sacrifici, pratiche per guadagnarsi un perdono. Dio non si conquista. Dio si accoglie. Perché è un dono puro, un Amore che si dona per primo. E infatti Gesù lo dice chiaramente: è venuto a cercare non i perfetti, ma i peccatori. È allora che Giovanni, turbato, manda a chiedere: "Sei tu quello che deve venire, o dobbiamo aspettarne un altro?". Questa domanda vibra ancora oggi, perché rivela quanto sia grande la distanza tra ciò che noi ci aspettiamo da Dio e ciò che Dio davvero è. Ma i dubbi non sminuiscono Giovanni. Anzi, lo rendono ancora più grande, più umano, più nostro. Ogni uomo attraversa momenti di smarrimento, perfino i santi. E sono proprio quelle crisi a purificare le nostre immagini distorte di Dio. Sullo sfondo, tra le righe di Matteo, sembra di intravedere una tensione dell'epoca: forse i discepoli del Battista sostenevano che il vero Messia fosse Giovanni, non Gesù. Eppure, in mezzo a tutte queste domande, resta una certezza luminosa: quando Dio si mostra davvero, scompiglia le carte e ci invita a ricominciare a credere, questa volta con il cuore libero. Fatti Gesù non discute, non si perde in teorie. Non entra in polemica. Risponde con la cosa più potente che ha: la vita che rinasce attorno a lui. "Andate e raccontate a Giovanni quello che vedete con i vostri occhi: i ciechi vedono, gli storpi camminano, i lebbrosi tornano integri, i sordi sentono, i morti rialzano la testa, e ai poveri arriva una parola che finalmente dà speranza". Non dimostra: mostra. Non argomenta: fa parlare le ferite guarite. Perché a certe domande non basta un ragionamento brillante. Serve uno sguardo che sappia scendere a fondo. Spesso, se osserviamo la nostra vita solo in superficie, tutto ci sembra un fallimento o una strada sbagliata. Ma quando scaviamo sotto la crosta delle cose, scopriamo che Dio stava lavorando in silenzio. Per accorgercene serve intelligenza nel senso più antico: intus legere, leggere dentro, non fermarsi all'apparenza. Dove passa il Signore, la vita fiorisce. È una legge semplice. E allora, amico lettore, guarda ai frutti: se il tuo incontro con Lui ha generato qualcosa di buono, anche piccolo, sei sulla rotta giusta. Se invece sei sempre identico a prima, immobile, forse qualcosa si è inceppato nel rapporto con Lui. Gesù viaggia con sei compagni fissi: ciechi, storpi, lebbrosi, sordi, morti, poveri. Ne manca uno per completare il gruppo. L'ultimo nome è il tuo. Tu che leggi. Perché anche la tua storia, toccata da Lui, può tornare a vivere. Scandalo «Beato chi non si scandalizza di me», dice Gesù. E lo scandalo è proprio questo: la misericordia. Un Dio che non divide più tra buoni da premiare e cattivi da punire, ma che spalanca le braccia a tutti. Per chi è cresciuto con una religione fatta di meriti, castighi e classifiche morali, è una rivoluzione difficile da digerire. Uno scandalo, appunto. Beato chi riesce a superare lo shock di un Messia povero, disarmato, lontano da ogni trionfalismo. Perché sarà proprio questo volto fragile di Gesù a mandare in crisi anche i discepoli, quando si troveranno davanti a un Messia umiliato, sconfitto, apparentemente perdente. Gesù ha scandalizzato allora e scandalizza ancora oggi: non si è mai messo comodo nella maggioranza, ha rotto gli schemi, ha capovolto l'immagine di Dio, ha messo la persona prima della legge, l'uomo prima dei regolamenti. Poi si volta verso la folla e parla di Giovanni: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna che tremola al vento?». Non dice "imparare", ma "vedere": perché Dio non è una teoria, è un'esperienza. E qui, amico lettore, sorge una domanda che punge: non sarà che oggi facciamo fatica a essere creduti perché siamo una fede senza corpo, senza carne, senza segni? Gesù, però, non gioca sporco. Riconosce a Giovanni tutta la sua grandezza, anche se il Battista con lui ha finito per scontrarsi. La canna sbattuta dal vento - immagine delle monete di Erode, simbolo dell'opportunista che si piega per convenienza - non è certo Giovanni. Lui non si è venduto a nessuno. Ha avuto il coraggio di denunciare il potere, costi quel che costi. E allora Gesù alza ancora l'asticella: «Tra i nati da donna non è sorto uno più grande di Giovanni». Parole enormi. Ma aggiunge qualcosa di sorprendente: «Il più piccolo nel Regno è più grande di lui». Perché? Perché Giovanni è come Mosè: ha accompagnato il popolo fino alla soglia, ma non è entrato. Non ha potuto - la morte lo ha fermato - e forse non ha voluto - l'immagine di Dio che Gesù proponeva gli è rimasta indigesta. Matteo, qui, lancia un avvertimento sottile: siamo tutti bravissimi a chiedere cambiamenti agli altri, ma quando tocca a noi convertirci, ci irrigidiamo. È quella che qualcuno chiama la "sindrome dei buoni": sentirsi sempre dalla parte giusta, sempre dalla parte di Dio. Ma Gesù non ragiona così. Gesù sa che in ognuno di noi convivono bene e male, luce e ombra. Nessuno è così buono da non doversi convertire. Nessuno è così cattivo da non poter essere amato. Ed è proprio da qui che ricomincia il Vangelo. Rischio Da sempre l'uomo corre un rischio: plasmarsi un Dio a sua misura. Un Dio comodo, rassicurante, cucito sulle proprie attese. Un Dio-idolo che non disturba, non spiazza, non converte. Un Dio che ci assomiglia così tanto... da non essere più Dio. E nei miei incontri lo vedo spesso: persone fieramente cristiane che sognano un Dio giustiziere che rimette tutti in riga, un Dio-supereroe che sistema guerre e fame con un colpo di scena, un Dio-baby-sitter pronto a sistemare i pasticci che combiniamo. Ma tu, amico lettore, sei disposto a mettere in crisi questa immagine? Sei pronto a lasciare che Dio sia più grande dei tuoi desideri? Forse è arrivata l'ora di una bella pulizia interiore. Di buttare via le caricature divine che ci siamo costruiti negli anni. Una fede viva non ha paura del dubbio: lo attraversa. Perché è proprio nel dubbio che lo Spirito scava, purifica, apre strade nuove. Abbiamo bisogno di mettere sotto la luce del Vangelo tutte le nostre pretese su Dio, per lasciar cadere le immagini distorte, infantili, manipolate, che ci portiamo dentro. Solo così Dio può tornare ad essere... Dio. E noi, finalmente, credenti liberi. La bella notizia di questa domenica? Se siamo capaci di rendere la vita più umana a qualcuno che non ce la fa da solo, allora quella persona capirà chi è il Signore che noi cerchiamo di amare e di incarnare. |