| Omelia (07-12-2025) |
| don Alberto Brignoli |
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L'essenza della fede Fanno una certa impressione le parole, ma soprattutto l'atteggiamento, di Giovanni il Battista nei confronti dei suoi uditori, in particolare di quei farisei e sadducei che si erano messi in fila come tutti gli altri israeliti per ricevere un battesimo di purificazione. Come mai così tanta rabbia nei confronti di gente che, in definitiva, non cercava altro che una "benedizione", un gesto di purificazione dai propri peccati? Forse Giovanni conosceva bene certi soggetti, e aveva compreso che il loro era solamente un tentativo di sottrarsi a quel giudizio imminente che Dio avrebbe certamente gettato sul loro operato. Ma cosa hanno fatto di così sbagliato, di così poco accetto a Dio, al punto da non essere meritevoli neppure di iniziare un cammino di conversione come quello proposto da Giovanni? Quella che il Battista non condivide è la loro intenzione di sottrarsi al giorno del giudizio senza un profondo desiderio di conversione: li ritiene, infatti, incapaci di produrre "frutti degni della conversione". A quanto pare, a loro bastava dirsi figli di Abramo per ottenere la salvezza (sarebbe come per noi dire: "sono battezzato e vengo da una famiglia cristiana"... è un po' poco...): per cui, qualsiasi altro gesto di conversione - come quello di fare un rito di purificazione nel fiume Giordano - era da loro vissuto con leggerezza, con la "sufficienza" di chi vive gesti penitenziali o rituali solo per farsi notare dalla gente (come più volte anche Gesù dirà loro nel Vangelo) o, peggio ancora, per mettere "il timbro" di genuinità alla pratica battesimale di Giovanni. Ma Giovanni non è uno che ama fronzoli e formalità; è uno che va all'essenziale, come scarno ed essenziale è il suo modo di presentarsi, e di certo non usa mezzi termini per parlare di Dio, da lui annunciato come una "scure posta alla radice degli alberi", come un contadino che "ripulisce la sua aia con la pala", come "un fuoco inestinguibile" che brucia la paglia avanzata dalla ripulitura del grano. Dio non sa che farsene di gente che compie gesti di fede solo per farsi vedere o per certificare la buona fede degli altri. Anche perché Dio non ha bisogno di loro, per suscitare la fede nel cuore dei credenti: Dio è talmente potente da poter "suscitare figli di Abramo dalle pietre". Anche il tempio che essi venerano come fosse Dio stesso, altro non è che una costruzione di pietre, e appartenere al tempio, essere stirpe di Abramo, significa molto di più che la semplice fedeltà a una costruzione fatta da mani d'uomo: significa dimostrare che Dio abita nel nostro cuore e agisce in noi attraverso opere di misericordia e di riconciliazione, ovvero - per riprendere le parole di Giovanni - "frutti degni della conversione". Questo concetto lo si comprende ancor meglio alla luce delle due letture che precedono il brano di Vangelo: Dio interviene nelle vicende della storia per ricreare relazioni fraterne, per ristabilire un ordine naturale basato sull'armonia e sulla fraternità come conseguenza di gesti di riconciliazione tra coloro che la storia porta spesso a mettere in contrapposizione. Isaia illustra questa "armonia ritrovata" attraverso un ristabilimento delle relazioni cosmiche e naturali (simboleggiate da animali tra di loro perennemente in conflitto che ora invece convivono pacificamente), e auspica che questo possa, un giorno, divenire concreto anche a livello storico e politico nella vicenda d'Israele, con la presenza di un "virgulto della radice di Iesse", di qualcuno, cioè, che ricuperi lo spirito del servo di Dio, Davide. E con tutta sincerità, è qualcosa che, a distanza di oltre duemilacinquecento anni dalle parole di Isaia, il mondo intero continua ad augurarsi, riguardo a Israele... Paolo, invece, chiede ai cristiani di Roma di "accogliersi gli uni gli altri" come fratelli indipendentemente dalle loro origini, dalla loro estrazione sociale, dalla loro appartenenza culturale; a volte, pur essendo membri della stessa fede cristiana, accadeva che tra "circoncisi" e "non circoncisi", cioè tra cristiani che provenivano dal giudaismo e cristiani provenienti dal paganesimo, non corresse buon sangue, e ciò creava divisioni nella comunità, soprattutto perché i circoncisi si ritenevano "privilegiati", cristiani della prima ora. Come spesso ancora avviene nelle nostre comunità, tra credenti di un paese o di una parrocchia più importante rispetto a quelli di un paese ritenuto di "seconda categoria"; o tra cristiani impegnati in parrocchia da molto tempo e gente che arriva all'impegno per la comunità cristiana solo recentemente... Cerchiamo di essere più essenziali, su queste cose: ciò che conta è sentirsi famiglia di Dio, unita nella fede. Le diversità, le distinzioni, i privilegi... lasciamoli a chi non ha nulla a cui pensare! In questo cammino di Avvento, che presto giungerà a metà del suo percorso, lasciamoci cambiare dalle parole dal gusto squisitamente "quaresimale" di Giovanni il Battista: liberiamoci da tutti quegli atteggiamenti e comportamenti superflui per la vita di fede e puntiamo decisamente all'essenziale, fatto di gesti concreti e sinceri di giustizia e di riconciliazione tra di noi. Altrimenti, diviene perfettamente inutile proclamarsi "stirpe di Abramo", ovvero credenti battezzati e di lunga tradizione cristiana, perché di quelli abbiamo già pieni i registri parrocchiali; altrimenti, diviene perfettamente inutile "mettersi in fila" (al tempo di Giovanni, per compiere un gesto formale di purificazione, ai nostri tempi per ricevere la Comunione o anche solo una benedizione), se poi le nostre relazioni con gli altri non mirano al rispetto, al dialogo e alla fraternità. Con i suoi metodi bruschi ed essenziali, Giovanni oggi ci vuole insegnare, fondamentalmente, una cosa: se vogliamo sentirci ed essere veramente figli di Dio, facciamo pure tutti i gesti "liturgici" di appartenenza e di purificazione che vogliamo, ma innanzitutto purifichiamo il nostro cuore da tutto ciò che ci impedisce di riconciliarci con i nostri fratelli e di accoglierli come figli dello stesso Padre. |