| Omelia (07-12-2025) |
| don Giacomo Falco Brini |
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Dio si è convertito: convertiamoci Giovanni irrompe improvvisamente sulla scena di Israele predicando nel deserto della Giudea. Come mai? Non era meglio scegliere la centralissima Gerusalemme o qualche centro più popoloso di quella terra? Non avrebbe raggiunto più uomini con la sua predicazione? Farsi queste domande è come domandarsi perché Dio, dopo aver liberato gli ebrei dall'oppressione egiziana, li ha condotti nei sentieri impervi di un grande deserto prima che raggiungessero la terra promessa. Bisogna che il deserto, con tutto ciò che esso significa, ci entri una volta per tutte come preziosa chiave interpretativa della nostra esistenza. Diversamente, rimaniamo in balia delle incessanti onde dei nostri pensieri e idee che, invece di farci camminare sulle vie di Dio, ci fanno vagare nella vita senza senso e senza una meta. Nel deserto si impara a conoscere e ri-conoscere la voce di Dio, perché è lì che si fa sentire. Il riassunto della predicazione di Giovanni coincide con l'introduzione riassuntiva della predicazione di Gesù: convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino. C'è un'affermazione che richiede fede e c'è un'esortazione che urge prendere in considerazione. Conversione: volgere lo sguardo verso qualcuno che mi viene incontro, prepararmi per questo incontro, essere disponibile a lasciarmi cambiare da Colui che incontro. La metanoia chiesta dal vangelo è molto più che un cambiamento morale. È un grido profetico che proviene dalla storia fino a Giovanni, tanto è vero che Matteo identifica Giovanni proprio come la voce che grida del passo di Isaia (1a lettura), voce che chiede di preparare la via del Signore e raddrizzare i suoi sentieri. Bisogna riprendere la rotta che porta a Dio se non si vuole far naufragio. Ma Giovanni non invita a diventare austeri asceti come lui. Invita ad entrare nel proprio cuore per verificare se il proprio pensare, agire e parlare è secondo Dio. Si può quindi comprendere perché Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui. La parola che usciva dalla bocca di Giovanni non era sua, ma di Dio. E, come c'è sempre chi della parola di Dio non se ne cura, c'è sempre anche chi da essa si lascia invece interpellare e convincere di peccato. Perciò costoro, andando a farsi battezzare da lui, confessavano i loro peccati. Segno inequivocabile che, quando ci si apre veramente al Signore, subito riconosciamo ciò che in noi non va. Quando riconosciamo il male che facciamo e il bene che non facciamo. E a chi si presenta al suo battesimo solo per compiere una formalità, in veste religiosa ufficiale ma solo apparentemente disposti alla conversione, Giovanni non le manda a dire: li chiama razza di vipere. Perché il più grande rischio che si può correre in materia di religione è spacciarsi per credenti vivendo da increduli. Pensare di aver raggiunto già la salvezza, non di essere solo incamminati verso di essa. È sentirsi al sicuro perché si frequentano ambienti di fede, ma senza produrre frutti che nascono dalla vera fede, frutti degni di conversione, cioè che attestano la ricerca di conversione. E a nulla servirebbe invocare la propria identità storica, perché nessuno può sfuggire al giudizio di Dio che fa sempre verità. Un urgente monito per tutti noi cristiani che dovremo rispondere su cosa stiamo facendo della nostra fede. Un titolo di privilegio? Un'assicurazione sulla vita? Un credito da vantare verso Dio? Un nascondiglio per proteggersi dagli scottanti problemi di oggi? Una piazza dove potersi riscattare dalle proprie frustrazioni? Giovanni, così determinato nella sua missione, sa però che essa ha un limite, dunque sa mettersi in disparte. È così di chiunque, come credente, attira gli uditori non verso di sé, ma verso Gesù Cristo. Tutto ciò che dice e fa, Giovanni lo dice e lo fa per destare tutta l'attenzione verso Colui che viene dopo di me ed è più forte di me. Per preparare gli altri e indurre a preparare essi stessi all'incontro più importante della vita. Per aiutarli a convertirsi, ovvero a dirigere lo sguardo verso il Signore che viene ogni giorno ed attende di essere accolto nella mia concreta storia. Se l'appello di Giovanni è ancora vivo oggi, allora cercherò nuovamente il sacramento della confessione, dove posso sempre raddrizzare i suoi sentieri. E scoprirò progressivamente che la mia conversione, da risposta umana ad un appello, diventa sempre più chiaramente un'opera divina, perché essa si realizza a poco a poco nella misura in cui lascio che Gesù mi battezzi in Spirito Santo e fuoco. Poiché solo quando scopro che Egli abita in me e che lavora incessantemente a questo mio battesimo, so verso chi sto guardando e chi sto ascoltando. So dunque che la mia conversione dura tutta la vita, perché è risposta al Signore che si è convertito per sempre a me, facendosi uomo come me e morendo sulla croce per me. |