Omelia (23-11-2025)
don Giacomo Falco Brini
Io sono Re

Ogni anno, tra la conclusione di un anno liturgico e l'avvio di un tempo liturgico speciale quale è l'avvento, la chiesa celebra la solennità di Cristo Re dell'universo. In essa rinnoviamo la professione di fede che la nostra fragilissima storia ha un lieto fine, ha una meta definitiva. La storia dell'umanità viaggia verso un mondo nuovo, un regno preparato da sempre e per sempre per tutti noi. Un regno nel quale si vive non da sudditi, ma da figli del Re, perché già lo siamo e perché questo regno invisibile avanza già oggi, nella nostra vita, da quando Colui che è Re si è fatto come noi, fino ad assidersi definitivamente sul suo trono. La pagina del vangelo ci porta davanti a questo momento supremo della nostra storia, e ci chiede di guardare il nostro Re che inizia a governare il suo regno da quel trono. Però, quale re sceglierebbe un simile trono? Chi avrebbe mai potuto immaginare che la croce, una delle peggiori torture a morte della storia inventata dall'uomo, sarebbe diventata il trono di Dio? Quale pensiero avrebbe mai potuto sfiorare o immaginare una cosa del genere? E perché alcuni uomini giungono a credere che davvero il Crocifisso sia il Re di tutti i re, mentre tanti continuano a vedere in quell'uomo solo uno dei più grandi sventurati di tutti i tempi?

La pagina del vangelo secondo Luca, mi suggerisce che tutte queste domande sarebbero potute nascere anche quel giorno in cui salì su questo trono. Presso di Lui, c'era un popolo intero che stava a vedere. Come innumerevoli masse di oggi che preferiscono essere solo spettatori degli eventi drammatici che toccano gli uomini, come se fossero cose che non li riguardano, magari però parlando e riparlandoci su, perché chi sta solo a vedere la superficie di ciò che si vede, sentirà subito il bisogno di parlare e commentare, oggi riprendendo gli eventi con il telefonino, ma quasi mai ad ascoltare e domandare. I capi religiosi e i soldati, simbolo di due poteri umani che quel giorno si scoprirono alleati, non fanno che deriderlo e provocarlo con il loro sarcasmo. Lo sfidano a dimostrare la sua regalità: se tu sei il re dei giudei. Lo sfidano a manifestare pubblicamente il potere di salvare gli altri, di essere il Messia, portando in salvo la sua vita condannata ad una morte atroce: ha salvato gli altri, salvi se stesso. Insieme si fanno voce di una fede molto diffusa, quella di cui si nutrono tanti che si dicono "atei" o "agnostici": l'incredulità. Se dice di essere quello che dice, allora si salverà. Altrimenti è un impostore. Perché il Cristo e il Re è uno che si salva dalla morte. Non sanno cos'è l'amore di Dio. Nè possono conoscere cosa sia il suo regno. Se l'avessero saputo - dice S.Paolo - non avrebbero crocifisso il Signore della Gloria (1Cor 2,8).

Persino un malfattore appeso ad un'altra croce accanto a Lui lo insultava, facendo eco alla fede dei dominatori di questo mondo, pensando di poter strappare allo stesso modo la propria salvezza: non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi. Eppure Gesù lo aveva detto più volte: chi si vuole salvare si perde. Quel malfattore, persino in croce, non vede altro in Gesù. Non potrebbe essere diversamente quando la tua vita viene prima di quella degli altri. Non puoi sentire altro che l'angoscia infinita di volerti salvare a tutti i costi dalla morte. Ma in quello stesso giorno avvenne qualcosa di imprevedibile. L'altro malfattore, inchiodato anche lui a una croce, avverte nelle parole del suo compagno di condanna una stoltezza inaccettabile. Come fai a parlare così, tu che stai messo come Gesù e come me conficcato su questi assi di legno che danno la morte? Come puoi parlare così davanti a uno che sta tra me e te come terzo malfattore, Lui che non ha fatto nulla di male? Perché Egli si trova quassù? Non dovrebbe essere qui con noi! E così, in mezzo al tumulto incessante di tutti coloro che assistevano a questo spettacolo, si fa silenzio in un uomo di nome Dimas, malfattore dichiarato e condannato, reo confesso, che dalla croce stava ascoltando quanto accadeva. E ascoltando, senza ribellarsi alla sua croce, cominciava a vedere quel che gli altri non vedevano.

Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno: il nome di Gesù sulle sue labbra, il nome del Benedetto che sta nel posto del maledetto. Non è giusto che sia qui con me, ma se è arrivato fin qui, se poco fa ho sentito dirgli Padre, perdona loro, non sanno quello che fanno, forse allora voleva stare qui, forse ci è voluto venire quassù in croce! Come è possibile? Come mai ha detto queste parole? Mai un uomo sceglierebbe di amare un altro uomo fino a questo! Questo è davvero un re, non so come possa essere il suo regno, ma una libertà così non l'avevo mai vista. Non posso pretendere di entrarci, ma Lui ci entrerà sicuramente. Gli chiederò solo di non dimenticarsi di me. Mi basta questo. Magari un giorno, ricordandosi, mi chiamerà, forse perdonerà anche me. Ed ecco il primo atto di governo secondo Luca: in verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso. Dimas, sei stato l'unico a difendermi in queste ore concitate. Ho trovato solo la tua voce a gridare la mia innocenza. Sei stato l'unico a guardarmi senza giustificarti, senza pensare di conoscermi. Beato sei tu Dimas, perché né la carne né il sangue ma il Padre mio ti ha rivelato chi c'è qui con te oggi, sulla croce. Ed io sono venuto fin qui oggi, per dirti che da oggi staremo per sempre insieme, perché io non ti ho mai dimenticato né potrei mai dimenticarti. E sarai ricordato per sempre come il primo dei miei figli che entrerà nella mia Gloria. Tu, Dimas, uno degli ultimi, tra i primi, come avevo previsto. Tu, il primo a credere che davvero io sono Re!

NB: le povere parole espresse in questo commento riflettono un prete che si trova spesso a meditare e a pregare tra Gesù e Dimas, il buon ladrone, ritrovandosi spostato ora verso l'uno ora verso l'altro. Si prega di non prendere troppo le sue parole come "oro colato". Grazie.