| Omelia (28-12-2025) |
| CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie) |
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Commento su Sir. 3.3-7. 14-17°; Col. 3.12-21; Lc. 2.41-52 In questa domenica, senza dubbio, uno dei segni più evidenti, del nostro tempo, è promuovere diritti e tacitare doveri. Vi sono diritti inalienabili, insiti nella natura umana, che è inammissibile ignorare, pensare di manomettere. La loro manomissione si risolverebbe ben presto ai danni degli stessi che li violentano e della società che ne permette la violazione. Ma vi sono pure pretese di diritti che nascono da una falsa concezione della natura umana o emergono da aspirazioni illegittime, sollecitate da fermenti egoistici, che è irrazionale favorire, pregiudiziale promuovere. La persona umana, che è al centro della creazione, creata a immagine e somiglianza di Dio, esige di essere rispettata, difesa nella sua costituzione originaria. Dio stesso la rispetta nell'esercizio della libertà (che è fatto costitutivo della persona) sino a permettere il rifiuto, la ribellione, la bestemmia. Degna ancor più di rispetto è da parte dell'uomo. L'uomo, creatura divina d'amore, non può ledere la sua natura senza distruggere la sua dignità. Non può chiudersi in se stesso, nella sua individualità, senza tener conto che deriva da Dio una tensione d'amore, che cioè è persona sociale, e quindi tende alla unione, alla comunione, ad una pienezza di vita. Non può alienarsi dal suo essere originario, evadere dalle esigenze assolute della sua natura; non può incarcerare l'amore nel radicalismo di una psicologia e di una pedagogia genetica, spiegare tutto con la sessualità, identificare l'amore con la «libido». La «libido» è passione, è istinto. Non riconoscendo l'autonomia e la dignità dell'altro finisce col considerarlo oggetto, cosa, strumento. In questa visione antinaturale e antistorica parlare di diritti, quando si ledono, non è certo, come si suol affermare, segno di cultura e di progresso civile. Così nei riguardi della famiglia, che è realtà d'amore, estensione di una persona che riconosce in un'altra se stessa e a lei si unisce, sarebbe illogico lasciarsi condizionare da interessi egoistici, da pregiudizi ideologici, da un passioniamo erotico, da un cedimento a istinti sessuali, come spesso avviene in chi si affida laicarnente a «dati sociologici» e a «inchieste sulla sfera intima». La teologia della fede è ben lontana da un mondanismo e da un terrenismo propri di una ideologia dell'eros estraniato dalla caritas, che esclude valori trascendenti e spirituali. La famiglia è amore che unisce e si dona, vita che si espande e chiede fedeltà di servizio alla vita e all'amore. Chiede ed esige doveri verso Dio creatore e verso Gesù redentore (matrimonio nell'ordine della natura e della grazia); doveri degli sposi fra loro (totale e indispensabile donazione di sé l'uno all'altro); doveri reciproci dei genitori verso i figli e dei figli verso i genitori (cioè un rapporto costante d'amore). La liturgia della Parola nella festa della Sacra Famiglia ci richiama dunque ad uno spirito di servizio. In «forma servi», Gesù; «serva» del Signore, Maria; servo di Gesù e di Maria, Giuseppe. La famiglia patriarcale descritta nel libro del Siracide ha in San Paolo una esemplarità ecclesiale e nel Vangelo di San Luca un modello di comportamento tra genitori e figli, figli e genitori nell'ambito della propria vocazione e missione. L'episodio del Vangelo è davvero sintomatico. Ci presenta Maria nel suo servizio di madre. Dopo aver introdotto Gesù (presente nel suo seno) ai parenti nella visita a Elisabetta; dopo aver obbedito all'editto del censimento e portato il Signore a nascere nella sua terra, la città di David; dopo aver presentato Gesù al tempio secondo le prescrizioni della Legge, continua a inserirlo nel suo popolo in fedele servizio alla propria patria e alle sue istituzioni. Gesù segue le abitudini familiari e religiose di Giuseppe e di Maria, in un'esemplare obbedienza a Nazareth. Obbedienza che non è interrotta dal suo appartarsi nel Tempio per tre giorni «seduto in mezzo ai dottori, che ascoltava e interrogava». Non si disobbedisce ai genitori, obbedendo a Dio. Nessuna vocazione e missione divina può essere impedita dagli uomini. L'episodio del Tempio mostra, insieme alla dignità e all'amore della Madre («Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo»), la libertà del Figlio nel seguire il volere divino: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc. 2, 41-52, 48 e 49). Non maternalismi o paternalismi, non evasione o emancipazione dei figli di fronte ai propri genitori, ma fedeltà alla volontà di Colui che è Padre e al cui volere il Figlio si è volontariamente sottomesso: «Ecco, io vengo, o Padre, a fare la tua volontà» (cfr. Ebr. 10,7). L'episodio del Tempio si ripeterà nella vita e nella storia, e sarà espressione e testimonianza di un totale servizio d'amore a Dio pur nel rispetto dei genitori quando si dovrà scegliere una propria missione. Anche se i genitori non comprendono, importante è seguire la chiamata divina, fare la volontà del Signore. Il tempo chiarirà difficoltà e renderà evidente come nella volontà di Dio è la nostra salvezza, la nostra pace. Proprio dopo aver affermato la sua missione, Gesù segue Maria e Giuseppe, parte con loro e ritorna a Nazareth, dove «stava loro sottomesso... (e) cresceva in sapienza, in età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (vv. 51-52). Obbedire a Dio è non solo consentire all'atto costitutivo della nostra perfezione, seguendo quel ruolo e quella missione che egli vuole da noi; ma partecipare alla paternità di Dio e alla maternità salvifica della Chiesa, che non contrastano ma sublimano ogni umana paternità e maternità.
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