| Omelia (16-11-2025) |
| don Giacomo Falco Brini |
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Vivere è resistere Il vangelo di oggi parte da un'osservazione sul tempio di Gerusalemme. Se ci pensate, anche noi domenica scorsa abbiamo parlato di un tempio. Abbiamo celebrato la festa di un simbolo della cristianità quale è la Basilica Lateranense. E abbiamo parlato anche di pietre, ma non come quelle che adornavano il tempio di Gerusalemme insieme ai doni votivi. Abbiamo parlato di noi stessi, impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale (1Pt 2,5) che è la chiesa di Dio, fondata sulla pietra scartata dai costruttori che è diventata testata d'angolo (Sal 118,22-23), Gesù Cristo nostro Signore. È una delle metafore bibliche più belle della chiesa, che ci chiede di saper guardare sempre oltre il suo rivestimento storico. La chiesa, popolo di Dio in cammino nella storia, non deve mai fermare lo sguardo su sé stessa, ma tenerlo sempre fisso in alto, finché si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo, come diciamo nell'embolismo di ogni eucaristia. I nostri fratelli ebrei che si soffermano ad ammirare il loro tempio costruito dopo più di 46 anni, simboleggiano l'ammirazione per l'opera umana realizzata per Dio, più che per l'opera di Dio per gli uomini. Gesù annuncia profeticamente la sua distruzione che avverrà realmente nel 70 d.C. per poi prendere le mosse, per il suo discorso escatologico, proprio dalla domanda di chi ha ascoltato il suo annuncio. La curiosità di sapere data e luogo precisi di eventi simili con relativi segni è stata sempre innata negli uomini. Basta andare a spulciare anche nella storia di altre civiltà. Ma Gesù invita a non fondare la nostra fede sulla conoscenza di queste curiosità, anzi, prepara i suoi ad evitare discorsi di questo tipo con tutti quelli che si presenteranno, a nome del Signore, proprio a speculare su di esse. Dunque badate di non lasciarvi ingannare. È facilissimo lasciarsi ingannare se non si meditano a dovere pagine di vangelo come questa. Quanti cristiani entrano in agitazione a contatto con uomini e donne cristiani particolari, ovvero con carismi o presunte visioni profetiche che affermano che siamo ormai vicini alla fine del mondo. Ne conosco molti. Ci sono fratelli e sorelle che hanno addirittura compromesso relazioni familiari o equilibrio psicologico personale, per andar dietro al tale o alla tale che è accreditato/a solo perché, ad esempio, frequenta Medjugorije o parla con i veggenti. E vi sta parlando uno che frequenta Medjugorije. Il punto capitale da comprendere nelle parole di Gesù è che davanti a costoro e alle molteplici guerre e rivoluzioni incombenti, Egli ci dice che non dobbiamo terrorizzarci e che tutto ciò non è subito la fine. Eppure le parole del Signore sembrano rincararci la dose di paura (cfr. vv.10-11) In realtà Gesù ci educa a misurarci sempre con la realtà, anche se drammatica. Anzi, ci ricorda che lo sarà sempre con le sue proprie tribolazioni, in ogni epoca. Non ci toglie dalle dolorose vicende presenti nella nostra storia, perché alla fine, con gli opportuni "distinguo", è molto simile alla sua. Piuttosto, in altre pagine di vangelo, ci invita a saper leggere, dentro questi fatti, le orme della sua fedele presenza che mai ci abbandona. Per questo gli sta a cuore ricordarci, anche qui profeticamente, che il nostro destino è il suo destino. Gli preme ricordarci che il suo Nome, dolce al nostro udito, è però causa di persecuzione ed odio nei confronti di tutti quelli che davvero si giocano la vita per seguire Lui. E in un certo senso, le sofferenze da attraversare, sono anche la migliore certificazione di autenticità della nostra fede in Lui. La posta in gioco è troppo alta, e la troviamo in fondo al vangelo di oggi. L'orizzonte di questa realtà drammatica non è la sofferenza, ma la salvezza: con la vostra perseveranza salverete la vostra vita. Non c'è salvezza senza la Croce, ma noi, "sotto-sotto", vorremmo evitarcela, oppure vorremmo che fosse già qui trionfante, ma nel senso mondano del termine. Certo, ascoltando Gesù sulle sofferenze (vv.12-17) che toccheranno ai suoi discepoli si può rimanere perplessi, e umanamente è comprensibile. Ma se il mio sguardo rimane fisso sull'orizzonte e non sulle sofferenze transitorie, la Croce si riempie di senso, così come la resistenza che mi è chiesta. Se non colloco qui, in questa vita terrena, l'orizzonte finale della mia esistenza, mi fido delle parole del Signore. E allora chiedo la grazia di perseverare in questa fede, fino alla fine della mia storia, sapendo in Chi ho riposto la mia fiducia. Dio che la ama e la salva fino all'ultimo capello del mio capo (v.18). |