Omelia (16-11-2025)
diac. Vito Calella
I poveri ci evangelizzano con la testimonianza della perseveranza

Povertà materiale e spirituale nella vita di ogni essere umano in questo mondo
Papa Leone XIV scrive nel suo messaggio per la IX Giornata Mondiale dei Poveri: «La Giornata Mondiale dei Poveri vuole ricordare alle nostre comunità che i poveri sono al centro di ogni azione pastorale» (n. 5).
Cristo risuscitato, nel Vangelo di questa 33ª domenica del Tempo Ordinario, ci ricorda che il nostro breve pellegrinaggio terreno può essere improvvisamente segnato da guerre, epidemie, catastrofi naturali estreme e persecuzioni. Questi eventi ci fanno perdere tutte le sicurezze offerte dai beni di questo mondo. Nella storia della nostra esistenza, accumuliamo varie perdite: perdita di beni materiali acquisiti con fatica nel corso degli anni, perdita della salute, perdita di persone e amici, perdita del lavoro. Possiamo improvvisamente passare dalla prosperità economica, sociale ed esistenziale ad una condizione di povertà fisica, materiale, psicologica e persino spirituale. All'improvviso, percepiamo con dolore la reale condizione di povertà della nostra condizione umana e l'illusoria sicurezza dei beni materiali.
Da un lato, ognuno di noi può sperimentare che «la povertà più grave è non conoscere Dio», come ci ricorda Papa Francesco in Evangelii Gaudium, n. 200: «La peggiore discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale» (cfr. Papa Leone XIV, Messaggio per la IX Giornata Mondiale dei Poveri, n. 3). Tutti possiamo attraversare fasi di depressione in cui vediamo negativamente ogni cosa e non riusciamo a perseverare nella preghiera, fino al punto di «spegnere in noi lo Spirito Santo» (cfr. 1 Ts 5,19). Tutti possiamo sperimentare il dramma della povertà spirituale.
D'altra parte, l'attraversare tutti i "lutti" del nostro pellegrinaggio terreno può trasformarsi in una serie di opportunità per progredire sulla via dell'umiltà, per accettare la radicale povertà della nostra condizione umana, per staccare il cuore e la mente da tutte le sicurezze dei beni materiali di questo mondo e per sentici solidari e in comunione con tutti i poveri che soffrono più di noi.
Ognuno di noi può dunque pregare con il Salmo 71,5 e dire alla Santissima Trinità: «Tu solo sei la mia speranza, Signore Dio». Queste parole scaturiscono dal nostro cuore, dal sentirci oppressi da gravi difficoltà, a causa dei "lutti" accumulati nel nostro pellegrinaggio. Ognuno di noi abbia il coraggio di pregare in questi termini: «Mi hai fatto soffrire grandi mali e afflizioni mortali» (Sal 71,20). Nonostante ciò, il nostro animo è aperto e fiducioso, perché, saldo nella fede, riconosce il sostegno di Dio e lo professa: «Tu sei la mia roccia e la mia fortezza» (Salmo 71,3). Da ciò deriva la fiducia incrollabile che la speranza cristiana non delude, continuando a pregare e dicendo: «In te, Signore, mi rifugio, non sarò deluso in eterno» (Sal 71,1).
In mezzo alle prove della vita, la speranza è sostenuta dalla ferma e incoraggiante certezza dell'amore di Dio, riversato nel cuore di ciascuno di noi dallo Spirito Santo che ci è stato donato. Per questo non delude (cfr. Rm 5,5).
Fino all'ultimo respiro della nostra vita, la presenza divina della gratuità dell'amore non ci abbandona.
Al contrario, come dice la Parola di Dio attraverso l'apostolo Paolo: «Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché non sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede per noi con gemiti inesprimibili. E colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio» (Rm 8,26-27).
In comunione con tutti i poveri di questo mondo, possiamo fare nostra la Parola di Dio della prima lettera a Timoteo: «Infatti ci affatichiamo e lottiamo, perché abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente» (1 Tm 4,10). Sappiamo che la nostra consegna al Padre, unito al Figlio nello Spirito Santo, cioè al «Dio della speranza», veramente «ci riempie, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiamo nella speranza per la virtù dello Spirito Santo» (Rm 15,13). I nostri cuori e le nostre menti saranno sempre più attaccati e si aggrapperanno alla vera ricchezza spirituale che vale la pena di custodire fino all'ultimo respiro: il «tesoro» dello Spirito Santo, presente e operante nel «vaso di creta» della nostra corporeità vivente (cfr. 2Cor 4,7). È lo Spirito in noi che ci dà la forza di centrare la nostra esistenza terrena su Cristo, morto in croce e risuscitato per la nostra salvezza e per il perdono dei nostri peccati. Allora, Gesù Cristo diventa «la nostra speranza» (1Tm 1,1), Gesù Cristo è «il sole di giustizia» che è già «sorto», avendo compiuto la profezia di Malachia, e ha già «portato la salvezza» con i «raggi benefici» dei doni e dei frutti dello Spirito Santo (cfr. Ml 3,20a).
Abbiamo la speranza di essere sempre salvati, liberati dalla potenza salvifica della morte e risurrezione di Gesù, offertaci attraverso il nostro incontro orante con la Parola di Dio, attraverso la nostra comunione con il corpo e il sangue di Gesù nel Santissimo Sacramento dell'Eucaristia e grazie al sacramento della Riconciliazione. Così, non spegniamo più lo Spirito Santo in noi; al contrario, gli permettiamo di fare la sua parte affinché ognuno di noi possa fare una vera esperienza di conversione. Nella povertà della nostra condizione umana, vogliamo rimanere radicati e perseverare, senza mai arrenderci, nella nostra fede in Cristo, morto e risuscitato!
Cristo risuscitato oggi ci offre parole di incoraggiamento: «Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita» (Lc 21,19).
Chi è più povero e sofferente di noi ci evangelizza quando ha già scoperto la dignità di essere figlo amatodi Dio Padre; quando ha già sperimentato la vicinanza di Gesù Cristo risuscitsto come fratello e amico; quando ha già accettato umilmente la propria povertà e già testimonia la gratuità dell'amore divino e l'azione dello Spirito Santo nella propria vita, perché ha imparato a condividere con libertà di cuore e con gioia tutto ciò che ha e che è, dimostrando fiducia nella divina provvidenza.
Questi poveri ci insegnano a «gloriarci nelle sofferenze» (Rm 5,3a) perché hanno imparato a santificare il nome di Dio percependo la sua presenza fedele e misericordiosa anche nelle fasi più difficili della loro vita, in ogni forma di "lutto".
Ci insegnano che «la tribolazione produce pazienza» (Rm 5,3b).
Perseverare significa «continuare a lottare senza arrendersi». Non adottano lo stile di vita di di chi si accontenta dell'assistenzialismo caritatevole degli altri di fronte alle situazioni di bisogno o gettandosi nel consumismo sfrenato e nel divertimento superficiale quando riescono ad avere denaro e lo spendono solo per soddisfare i propri istinti, sentimenti e pensieri egoistici.
I poveri che ci evangelizzano continuano a lavorare e affrontano le sfide della vita quotidiana perché hanno imparato che «la perseveranza produce virtù provata» (Rm 5,4a).
La virtù provata è la sapienza del discernimento sul significato più profondo della sofferenza nella vita, per centrarla su ciò che è essenziale. E l'essenza della vita consiste nello scoprire la presenza potente, liberante e santificante dello Spirito Santo, effuso gratuitamente nel cuore di ogni essere umano da Cristo, morto e risuscitato, secondo la volontà di Dio Padre.
L'azione dello Spirito Santo, prevalendo sugli istinti, sui sentimenti e sui pensieri egoistici, aiuta «i beati poveri in spirito» (cfr Mt 5,3) a fare della perseveranza un atteggiamento di vigilanza e di continua conversione del cuore.
Contribuendo alla realizzazione del Regno di Dio nella storia di questo mondo, essi attendono il giorno del giudizio finale della propria vita, dopo la morte fisica, come um «cantare alla presenza del Signore, che viene a giudicare la terra. Egli giudicherà il mondo con giustizia e le nazioni con rettitudine» (Sal 97,20a).
I «superbi e malvagi» imparino dai più poveri e sofferenti che le loro azioni egoistiche sono come «paglia bruciata nel fuoco ardente della fornace» della gratuità dell'amore divino, vittorioso su ogni ingiustizia e mancanza di rispetto per le creature. Non siano «bruciati» nel giudizio finale della condanna insieme ai loro atti egoistici e ai loro idoli, ma riconoscano l'unica sovranità di Cristo. Sentano il bisogno di Gesù Cristo, affinché Lui li riempia, perché tutto ciò che possiedono al di fuori di Lui è immensamente vuoto.