Omelia (09-11-2025)
don Alberto Brignoli
Essere Chiesa

Dopo il ricordo dei nostri cari defunti, la celebrazione delle Domeniche del Tempo Ordinario conosce un'altra battuta d'arresto: ogni anno, infatti, il 9 novembre si ricorda ciò che avvenne in quella stessa data nel 314 d.C., quando a Roma il papa Melchiade consacrò la più antica delle Chiese dell'Occidente e la prima Cattedrale della storia, ovvero la Basilica di San Giovanni in Laterano. Essa fu costruita nelle proprietà donate dall'imperatore Costantino di fianco al Palazzo Lateranense, fino allora residenza imperiale e poi residenza pontificia sino a che i Papi si spostarono al Quirinale prima e in Vaticano poi. Originariamente fu una festa solo della città di Roma. A partire dal XII secolo, la celebrazione fu estesa a tutte le chiese di rito romano per onorare la basilica chiamata "Chiesa-Madre di tutte le chiese" come segno di amore e di unione verso la cattedra di Pietro. Il Papa, infatti, è Papa perché è Vescovo di Roma, e la sua cattedrale non è San Pietro, ma appunto San Giovanni in Laterano.
Il motivo per cui questa festa è stata estesa a livello di Chiesa universale è molto più profondo della pura ricorrenza storica: esso, infatti, esprime un senso di "appartenenza", di "unità", all'interno della Chiesa, intorno - oltre che all'Eucaristia e alla Parola di Dio - alla figura del Papa. E quindi, questa festa diventa anche il motivo, l'occasione per parlare un po' della Chiesa, di questa realtà così particolare, tanto amata dai cristiani e tanto odiata dai suoi avversari; una realtà che, come dicevano Lutero e i suoi compagni nel XV secolo, e come lo stesso Concilio Vaticano II ha ribadito secoli dopo, "semper reformanda est", "deve sempre rinnovarsi". Proviamo a parlarne iniziando a dire cosa "non è", o perlomeno cosa "non deve essere" la Chiesa.
La Chiesa, innanzitutto, non è uno Stato, e anche se c'è uno Stato che la rappresenta, non coincide con esso. La Chiesa è uno Stato forse solo per i politici, che con lei giocano esclusivamente su quel piano, e le fanno correre il rischio di perdere il suo carisma, oltre che del tempo prezioso...
La Chiesa non è neppure l'insieme delle gerarchie ecclesiastiche: per cui, chi pensa che attaccando le gerarchie può mettere in pericolo la Chiesa o l'essenza stessa del cristianesimo, fa un buco nell'acqua. E un buco nell'acqua lo fa pure chi fa coincidere la Chiesa con il clero, ovvero chi pecca di clericalismo. Purtroppo, nella Chiesa molti ne so affetti: tanto quei preti che, sottovalutando i laici, pensano di poter far coincidere autorevolezza con autorità, quanto quei laici che, per poter esercitare un potere che altrove non hanno, si atteggiano a preti più dei preti stessi...
La Chiesa non è un insieme di strutture: certo, servono anche quelle, ma non possono coincidere con l'abitare di Dio tra le case degli uomini. Così come non è possibile far coincidere la Chiesa con il Regno di Dio: ne è il segno, l'annuncio, la profezia, ma il Regno di Dio è molto, molto di più della Chiesa. E nessun cristiano può vantare la pretesa di credere che per entrare nel Regno di Dio occorra per forza far parte della Chiesa.
La Chiesa, infine, non sta neppure solamente nell'insieme dei suoi riti e delle sue liturgie: lo sarà, forse, per i teatranti di sagrestia e per gli amanti di pizzi e merletti, che si fermano al rito e non vedono nel rito quel "di più" che lo rende "mistero di salvezza".
E allora, se tutto ciò non è la Chiesa, che cos'è la Chiesa? Come professo la Chiesa ogni domenica, terminata l'omelia? Come credo la Chiesa?
Credo la Chiesa per ciò che il suo nome dice, ovvero un'assemblea, un incontro, un popolo che si raduna nel nome di un Maestro, fa memoria di Lui e annuncia la vita del mondo che verrà, ma che si costruisce qui ed ora, sulla terra.
Credo la Chiesa una famiglia, nella quale per sua stessa natura emerge il suo essere profondamente "donna": donna perché madre che genera ogni cristiano nella fede; donna perché figlia, anche lei, del suo tempo, in ogni epoca; donna perché sorella che sente fratello ogni uomo; donna perché sposa, amata e amante di Colui che l'ha voluta da sempre e per sempre con sé.
Credo la Chiesa luce del mondo; non luce della ribalta che acceca e impedisce di vedere la platea, ma lucerna accesa, collocata là dove non dà fastidio a nessuno ma permette di orientarsi a chi brancola nel buio. Credo la Chiesa sale della terra e lievito nella massa, insignificante agli occhi del mondo, ma necessaria a dare sapore e spessore alle cose, nella logica del nascondimento e del servizio.
E credo la Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica.
Una, perché indivisa, nonostante i rammendi della storia, perché ricca nella sua diversità, perché molteplice nelle sue espressioni e nei suoi ministeri eppure unica nella sua essenza di discepola del Maestro, perché immagine della Trinità.
Santa, non per la bontà dei suoi membri, né per i meriti di chi vi fa parte, ma perché stimolata continuamente a esserlo dall'esempio di Colui che, unico, può dirsi santo e farci santi.
Cattolica, perché universale, inclusiva, aperta a ogni uomo e a ogni donna, cittadina del mondo, immagine concreta e onesta della globalizzazione, in costante dialogo con la modernità ma sempre ferma nella propria identità, senza la quale nessuno potrebbe più dialogare con lei.
Apostolica nel vero significato del termine, ovvero continuamente inviata senza mai essere arrivata; in cammino, sempre in viaggio, sempre alla ricerca - e mai depositaria assoluta - della Verità, sempre in movimento dietro al Maestro: in una sola parola, sempre missionaria.
Che bello, poter dire - e non solo a parole - che crediamo una Chiesa così! Ma questo dipende solo da noi, e dal nostro sforzo di non voler vivere la fede da soli, ma come parte di una grande famiglia.
Termino con una citazione di Henry De Lubac, grande teologo gesuita del secolo scorso, che negli anni '50 fu sospettato di modernismo e sospeso dall'insegnamento, mentre tutti i suoi libri pubblicati furono censurati da quella stessa gerarchia ecclesiastica che, riconosciuto il proprio errore, un decennio dopo lo nominò "esperto" al Concilio Vaticano II. Nel suo libro "Meditazione sulla Chiesa", scritto nel 1953, proprio mentre si trovava sospeso dall'insegnamento, così scriveva:
"Il vero credente non è solo, nella sua fede. La sua dipendenza dagli altri può anche essere per lui una prova; ma, molto di più, è una forza, questa solidarietà vissuta all'interno della Chiesa, Madre, benedetta anche per le illusioni che smaschera in noi, affinché la nostra fede sia più pura".