Omelia (27-11-2025)
Missionari della Via


Lucidità e fiducia. Sono questi i due rimedi che ci offre il Vangelo di oggi. Senza giri di parole, Gesù con estrema lucidità afferma: «Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina». Dare un nome alle cose, anche a quelle difficili, è il primo passo per cercare di affrontarle. Non è scontato. Vi sono persone che, ad esempio, per paura di scoprire di avere qualche malattia, preferiscono non farsi le analisi, continuano a tamponare sintomi con rimedi parziali. Il primo passo per affrontare la realtà è saperla leggere con lucidità, non storditi, non alienati, non dispersi in banalità e distrazioni inutili. Il secondo rimedio è la fiducia: «Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina». Mediante questo linguaggio apocalittico, Gesù ci fa capire che gli ultimi tempi non sono una fase catastrofica che anticipa la fine di tutto ma una fase in vista di una pienezza che sta per arrivare. La fine del mondo per noi credenti corrisponde al fine del mondo, alla definitiva manifestazione della gloria di Dio che trasfigurerà ogni cosa, portandola al suo compimento. Perciò, forti di questa certezza, non dobbiamo dimenticare che anche le difficoltà più grandi sono anticamere per liberazioni più profonde, sono possibilità di incontro con il Signore, nostra roccia eterna, che ci viene incontro anche e proprio nelle tempeste per salvarci. Ci fa bene ricordare che anche quando tutto sembra distrutto, Dio sta costruendo qualcosa di nuovo. Qui non c'è solo qualcosa da sapere o da ricordare ma da sperimentare con l'esercizio della fiducia, mediante la preghiera. Sì: «Il mondo non sta precipitando nel caos ma nelle braccia di un Padre che tutti vuole accogliere e salvare. Con questa certezza viviamo operativamente e fattivamente in questo mondo senza aspettare rassegnati ma senza farci prendere da inutili ansie. Sappiamo bene come andranno a finire le cose!» (Paolo Curtaz).

«Nessun bruco potrebbe sopportare il suo disfacimento se non perché in se stesso sperimenta un'ostinazione che alla fine svela la farfalla nascosta che era potenzialmente in lui. Eppure esternamente noi vediamo qualcosa che si disfa, ma da quella fine sta nascendo qualcosa di migliore ma di inimmaginabile finché non la si sperimenta. Il tempo di questa vita è il tempo della speranza, cioè il tempo in cui al buio crediamo che esiste nascosta una luce. Avere speranza non significa avere luce, ma credere che esiste, e che alla fine si paleserà e sarà sua l'ultima parola» (don Luigi M. Epicoco).