| Omelia (11-11-2025) |
| Missionari della Via |
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Commento su Luca 17,7-10 Se volessimo dare un titolo al Vangelo di oggi potremmo dire: l'elogio dell'inutilità! In italiano la parola "inutile" applicata ad una persona è difficile da mandare giù, basti pensare ad una serie di sinonimi come: vano, sterile, inservibile, futile, disutile... Di per sé, se volessimo renderla meglio, dovremmo iniziare dal dire: "servi senza utile", cioè che servono senza cercare il proprio utile, il proprio interesse. Come spiega bene don Andrea Lonardo: «Il termine greco achreios, in età ellenistica, ha due differenti sfumature di significato, entrambi indicanti la piccolezza. Il vocabolo achreios può indicare innanzitutto l' "inutilità", il non servire... Una seconda sfumatura di significato indica, invece, l'essere "povero", "vile", non nel senso morale cioè a causa di una colpa commessa ma a motivo dell'umiltà di condizione... evidente dal testo stesso che i servi non sono inutili - hanno lavorato! Molto più confacente al contesto ci appare, invece, proprio la seconda sfumatura di significato: "vile", "povero" - "siamo vili servi", "siamo poveri servi". L'italiano utilizza spesso proprio il vocabolo "povero" ad indicare non tanto una povertà morale e nemmeno materiale, quanto la condizione di umiltà, di pochezza. Ecco, allora, la nostra traduzione: "siamo semplicemente servi", dove l'aggettivo achreioi è un rafforzativo del sostantivo "servi". L'espressione evangelica vuole esprimere che il "servire" non è qualcosa che si viene ad aggiungere alla condizione umana, come un possibile merito, come una realtà superflua ed accidentale. L'essere creatura dell'uomo, opera del Creatore, implica la disponibilità e la normalità dell'essere messi a disposizione, dell'essere chiamati a servire. Un uomo che non "servisse" avrebbe fallito la sua stessa identità, avrebbe perso la sua vita, avrebbe perso se stesso. Colui, invece, che vive la sua esistenza proprio come servitore, non fa altro che rispondere a quel disegno iscritto nella sua stessa vita, nello stesso disegno divino che lo ha generato. Ecco perché non è necessaria una ricompensa, ecco perché il servire non diviene motivo di rivendicazioni. Tornano alla mente le parole di Paolo: "Non è un vanto per me, l'annunciare il vangelo. E' un dovere per me. Guai a me se non predicassi il Vangelo!" (1 Cor 9, 16)». Siamo qui nell'ambito della de-assolutizzazione di sé e, di conseguenza, di una grande libertà interiore. C'è il profumo di un vivere per servire e di un servire come dimensione essenziale della vita, non aggiunta, sulla quale si possono accampare pretese. Allora, capiamo bene dove ci vuol condurre Gesù: alla gioia di servire per amore, senza accampare meriti, pretese, senza gonfiarsi di orgoglio, senza rinfacciare agli altri quanto fatto, senza mettersi in mostra per quanto fatto. È la via della povertà, della piccolezza, la via del servire con libertà che conduce alla gioia e alla pace. «Allontana, Signore, ogni ostacolo nel nostro cammino verso di te, perché nella serenità del corpo e dello spirito possiamo dedicarci liberamente al tuo servizio» (Colletta della VI domenica del Tempo Ordinario). |