| Omelia (02-11-2025) |
| don Lucio D'Abbraccio |
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La speranza che non muore! In questo giorno in cui commemoriamo tutti i fedeli defunti, il nostro cuore è colmo di ricordi, forse di tristezza, ma anche di una speranza che non delude. Le letture di oggi ci vengono incontro, illuminando il mistero della morte con la luce della fede. Nel libro di Giobbe, incontriamo un uomo provato dal dolore più grande, un uomo che ha perso tutto: figli, beni, salute. Eppure, dal profondo del suo abisso, Giobbe lancia un grido che squarcia le tenebre: «Io so che il mio redentore è vivo!». Che forza straordinaria in queste parole! Anche quando tutto sembra perduto, quando la sofferenza ci fa dubitare di tutto, la fede ci permette di guardare oltre. Giobbe non aveva ancora conosciuto Gesù, ma nel suo cuore ardeva la certezza che Dio non lo avrebbe abbandonato nella polvere della morte. È la stessa speranza che sentiamo quando, davanti alla foto di una persona cara che non c'è più, sentiamo che il legame non è spezzato, che l'amore è più forte della morte. È la certezza che, come diceva Sant'Agostino, «coloro che ci hanno lasciato non sono degli assenti, sono solo degli invisibili: tengono i loro occhi pieni di gloria fissi nei nostri pieni di lacrime». Questa speranza, come più volte abbiamo ripetuto nel Salmo responsoriale, ci fa cantare con fiducia: «Il Signore è mia luce e mia salvezza». Nel Vangelo, Gesù ci offre la pienezza di questa speranza. Le sue parole sono una promessa solenne, una garanzia divina: «colui che viene a me, io non lo caccerò fuori». Immaginate di arrivare a una festa importantissima, magari con un po' di timore, e il padrone di casa vi viene incontro, vi abbraccia e vi dice: "Che bello che sei qui! Ti stavo aspettando". Ecco, così fa Gesù con ciascuno di noi e con i nostri cari che ci hanno preceduto. Nessuno di coloro che il Padre gli affida andrà perduto. Questa è la volontà di Dio: non la morte, non la separazione, ma la vita eterna per chiunque crede nel Figlio. Pensiamo a quante volte nella vita ci sentiamo «scartati», non capiti, messi da parte. Gesù ci dice che per Lui non è così. Ogni persona ha un valore immenso ai suoi occhi, un valore eterno. La sua missione è quella di non perdere nessuno, di condurre tutti alla casa del Padre. Pregare per i nostri defunti, quindi, non è un semplice ricordo, ma è un atto di fede in questa promessa. È come se li accompagnassimo per mano alla porta di quella festa, sicuri che Gesù li stia aspettando a braccia aperte. La nostra preghiera è un modo per dire: «Signore, ti affidiamo i nostri cari. Sappiamo che tu non li perderai». Anche nei momenti di buio, quando il dolore per la perdita sembra soffocare ogni luce, ripetiamoci con fede: «Il Signore è mia luce e mia salvezza». Ebbene, la fede non cancella il dolore, ma lo trasforma. La speranza cristiana non è un vago ottimismo, ma la certezza che l'ultima parola non appartiene alla morte, ma a Cristo Risorto, il Redentore vivo di cui parlava Giobbe. I nostri cari defunti vivono in Lui, e un giorno, per sua grazia, li rivedremo. Affidiamo ora la nostra preghiera e il ricordo dei nostri cari alla Vergine Maria, Consolatrice degli afflitti e Porta del Cielo. Lei, che ha tenuto tra le braccia il Figlio morto ed ha atteso con fede incrollabile la sua risurrezione, custodisca i nostri defunti nel suo amore materno e consoli noi che ancora siamo in cammino, finché non saremo tutti riuniti nella gioia senza fine del Paradiso. Amen! |