Omelia (02-11-2025)
don Andrea Varliero
Fidarmi di quella luce interiore

Ogni giorno vedo sorgere il sole: dapprima con la luce dell'alba che riempie l'aria, poi pian piano il sole farsi largo all'orizzonte, da piccolo spicchio, semicerchio, fino a diventare disco pieno. Ogni giorno vedo tramontare il sole: dileguarsi oltre l'orizzonte, lasciare l'ultima stria blu prima di lasciar spazio alla notte, al buio. Sarei uno sciocco a pensare che il sole esista unicamente dal suo sorgere al suo tramontare, dall'alba al tramonto; sarei intellettualmente scorretto e per niente scientifico nel dichiarare la vita esistere solamente in quelle poche ore in cui è visibile ai miei occhi. Il sole «è», anche oltre il confine, oltre l'orizzonte. Così la vita «è»: oltre il confine, oltre l'orizzonte, oltre il limite del tempo.
Sono chiamato a fidarmi della luce interiore che abita dentro di me. Come potrei narrarla? Come una luce spirituale, una presenza. Silenzio abitato dalla coscienza, sussurro di vento leggero, ricordo improvviso, slancio a rialzarmi, consapevolezza di una strada sbagliata, gioia di un tramonto di sera, nostalgia: è la loro presenza in me. I nostri cari defunti non escono dalle nostre vite, anzi. Ci entrano ancora più dentro, si innervano ancora di più in noi. Ecco, sono loro quella luce spirituale, sono loro quel silenzio presente dentro di noi, eppure altro da noi. Scriveva Agostino: «Coloro che amiamo e che abbiamo perduto non sono più dove erano ma sono ovunque noi siamo».
Veniamo additati come dei superficiali, noi cristiani. Mi interroga molto quel dito puntato, quella domanda che mi pongono: abbiamo addormentato le coscienze, tanto tutto è perdonato; abbiamo banalizzato la morte, tanto dopo c'è la resurrezione. Posso testimoniare che sì, per me la morte non è un punto, ma è una virgola. Che laddove io metto un bel punto di fine, un bel masso che tutto sotterra, quella luce interiore mi suggerisce di scrivere una virgola, di mettere una virgola tra la vita e la morte. Morte e vita non sono due capitoli separati, due pagine separate da un punto. Sento che il primo giorno che sono venuto alla luce, ho iniziato un po' a morire. Che faccio esperienza di morte anche mentre vivo: persone e volti perduti, forza fisica che si ritrae, dolore fisico e morale, fallimenti, tutto narra della morte già entrata in noi. Sento che il primo giorno che sono venuto alla luce, ho iniziato a risorgere. Ogni mattino, quando mi alzo, risorgo. Ogni scelta di più amore, ogni minimo gesto di cura, ogni parola e ogni incontro, ogni attenzione, ogni attimo eterno davanti a Dio: narrano di una vita risorta già entrata in noi.
Allora la morte mi è «sorella», come il fuori di sé, l'estatico Francesco ha intonato ottocento anni fa, un anno prima di morire: «Laudato Sì mi Signore, per sora nostra morte corporale». Sorella morte, parte di noi. Sorella, non vendetta. Sorella, non maschera di carnevale. Sorella, non ingiustizia. Sorella, non deformazione. Sorella, non paura. Vita e morte, ombra e luce, cammineranno sempre insieme, una per dare profondità e senso all'altra, come due sorelle inseparabili. Neanche io posso separarle, neanche all'ultimo atto, quello della morte: c'è sempre sorella vita accanto a lei.
Ringrazio per l'esperienza di fede della Chiesa che mi fa camminare insieme ai nostri cari defunti. In questa domenica in particolare che li commemora, come in ogni liturgia quotidiana che me li fa sentire in comunione. Non c'è altro luogo, non c'è altra esperienza, se non nel gusto del Pane dove li ritrovo. Ringrazio perché l'esperienza di fede mi ha lasciato entrare la morte nella vita, come possibilità che avvenga. Questo mi rende più attento a non lasciare cose o persone in sospeso, più leggero, più disarmato, mi fa gustare la vita ancora di più, me la fa assaporare. So che qualcosa che riguarda la vita eterna è già iniziato qui e ora, che il volto di Chi ho cercato per una vita intera lo ritroverò come a me familiare, che un attimo di eternità sarà un sorriso di comunione.
Oggi, in questa domenica, voglio respirare la nostalgia intima di chi mi manca, il bene che mi hanno lasciato come unico testamento spirituale, e la gioia intima di una luce di Pasqua, di una vita abbracciata alla morte e di una morte abbracciata alla vita. Ringraziare desidero per tutti i miei morti, che fanno della morte una casa abitata. Lux perpétua lúceat eis. Requiéscant in pace. Amen.