| Omelia (02-11-2025) |
| Missionari della Via |
|
Commemorare i nostri cari defunti non significa solo ricordarli o piangerne l'assenza. Certamente l'assenza di una persona cara si avverte e nemmeno la fede può eliminare un dolore che è conseguenza dell'amore. Tuttavia, la fede cristiana ci permette di fare un passo oltre e celebrare il loro ingresso nella vita e, per mezzo della preghiera e specialmente della Messa, possiamo celebrare quella comunione dei santi che continua a tenerci spiritualmente vicini e uniti. Il Vangelo ci offre una pericope meravigliosa tratta dal cap. 6 di Giovanni, dove si evidenzia il ruolo salvifico di Cristo. Gesù rivela l'attrazione di Dio nei nostri confronti e la sua ferrea volontà salvifica. Egli promette che quanti "vengono a Lui" (cioè credono in Lui) non li caccerà fuori, perché la volontà del Padre che lo ha mandato è che nessuno si perda ma che lo risusciti nell'ultimo giorno. «Da quando Gesù è entrato nella storia noi non siamo più perduti, siamo invece afferrati da un bene che non ci lascia soprattutto quando le nostre forze e le nostre possibilità finiscono [...] Ecco perché oggi celebriamo non solo una memoria liturgica legata a chi amavano, ma celebriamo una liturgia che ci ricorda che nulla di ciò che abbiamo amato è andato perduto [...] Non siamo nati per la morte, siamo nati per la vita, e il nostro destino è la vita non la morte. E se la morte esiste è solo perché è un passaggio [...] L'esperienza dell'incontro con Cristo è esattamente questo passaggio» (don Luigi M. Epicoco). La morte non è la fine ma l'incontro con il nostro fine, con l'Amore che ci chiama; non è un tuffo nell'ignoto ma un viaggio sicuro verso le amorevoli braccia del Padre, un Padre che non tollera che i suoi figli si perdano nel nulla e che non lascia alla morte l'ultima parola. Perciò durante la Messa, nel Canone dei defunti preghiamo: «In Cristo tuo Figlio, nostro salvatore, rifulge in noi la speranza della beata risurrezione, e se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consola la promessa dell'immortalità futura. Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata una abitazione eterna nel cielo». Sì, la morte, per quanto resti un evento misterioso, è trasformata. «Nella morte, Dio chiama a sé l'uomo. Per questo il cristiano può trasformare la sua propria morte in un atto di obbedienza e di amore verso il Padre, sull'esempio di Cristo (Lc 23,46)». (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1011). La morte si configura perciò come l'ultimo e definitivo atto di fiducia in Dio: «Mi sono riappacificato col pensiero di dover morire quando ho compreso che senza la morte non arriveremmo mai a fare un atto di piena fiducia in Dio. Di fatto in ogni scelta impegnativa noi abbiamo sempre delle "uscite di sicurezza". Invece la morte ci obbliga a fidarci totalmente di Dio... Desideriamo essere con Gesù e questo nostro desiderio lo esprimiamo ad occhi chiusi, alla cieca, mettendoci in tutto nelle sue mani» (card. Carlo M. Martini). Mettiamo dunque ogni cosa nelle sue mani, ogni persona defunta ma anche ogni nostra scelta; sono mani di cui vale la pena fidarci, mani amorevoli che non ci mollano mai, nemmeno nell'ora della morte! PREGHIERA Signore, io credo: risorgerò, questo mio corpo vedrà te, mio Salvatore! |