Omelia (01-11-2025)
Missionari della Via


Oggi, solennità di tutti i santi, abbiamo l'occasione di meditare sul testo delle Beatitudini. Si tratta di un itinerario paradossale, contraddistinto dalla beatitudine, dunque dalla gioia! Non si parla di una felicità a buon mercato ma di una gioia profonda, che trova la sua origine in Dio, come suo dono, e che è possibile sperimentare vivendo alla sequela di Gesù, incarnando determinati atteggiamenti che vanno accolti nel cuore e messi in pratica. Osserviamo la struttura stessa delle beatitudini: ogni beatitudine si compone di tre parti. Anzitutto la parola/promessa: beati. Poi la situazione nella quale si trovano i beati: povertà di spirito, afflizione, fame e sete di giustizia... Infine, la motivazione della beatitudine: beati... perché... Essa non è prodotto dei propri sforzi ma un dono ricevuto da Dio. La beatitudine di cui parla Gesù non è dunque un "passarsela bene" ma la condizione di chi vive in grazia e progredisce sulla strada di Dio, coltivando attitudini quali: l'umiltà, la mitezza, la pazienza... Come disse bene Francesco: «Dio, per donarsi a noi, sceglie spesso delle strade impensabili, magari quelle dei nostri limiti, delle nostre lacrime, delle nostre sconfitte. È la gioia pasquale di cui parlano i fratelli orientali, quella che ha le stimmate ma è viva, ha attraversato la morte e ha fatto esperienza della potenza di Dio. Le Beatitudini ti portano alla gioia, sempre; sono la strada per raggiungere la gioia». Che queste parole possano aiutarci a riscoprire la vita cristiana e l'itinerario di santità come un cammino di gioia; sì, impegnativo, esigente, ma al contempo di gioia! Proprio come ci ha detto Gesù: «vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11).

«Essere poveri nello spirito, ben prima di definire un rapporto con i beni, significa aderire alla realtà. Guai a pensare che la beatitudine sulla povertà riguardi solo la relazione con i beni: no, la povertà dello spirito e la purezza di cuore indicano che uno è libero nel cuore a tal punto da sentirsi povero ed è così povero nel cuore da sentirsi libero di accettare la propria realtà, libero anche di accettare le umiliazioni e di sottomettersi agli altri. Essere capaci di piangere significa piangere non per ragioni psicologiche o affettive, bensì versare lacrime che sgorgano da un cuore toccato dalla propria e altrui miseria. Assumere in profondità la mitezza significa esercitarsi a rinunciare alla violenza in ogni sua forma: spesso infatti la peggior aggressività si cela dietro atteggiamenti falsamente miti, dietro sorrisi carichi di un odio mortifero... Avere fame e sete che regnino la giustizia e la verità significa desiderare che i rapporti con gli altri siano retti da giustizia e da verità, non dai nostri sentimenti. Praticare la misericordia e fare azioni di pace significa dimenticare il male che gli altri ci hanno fatto, sforzandoci di perdonarli. Essere perseguitati per amore di Gesù significa avere una prova concreta che si segue davvero il Signore delle nostre vite, colui che ha detto: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20). Chi si trova in queste situazioni, chi lotta per assumere questi atteggiamenti, ascoltando le parole di Gesù può conoscere che l'azione di Dio è a suo favore e così sperimentare davvero la beatitudine: una gioia profonda e a caro prezzo, una gioia animata dalla comunione con il Signore, una gioia che niente e nessuno potrà rapirci (cf. Gv 16,23)» (E. Bianchi)