Omelia (02-11-2025)
Agenzia SIR
Creati per la vita eterna

La proclamazione del Vangelo di Luca si interrompe nella domenica in cui la Chiesa commemora tutti i fedeli defunti. Non è solo un giorno segnato dal ricordo e dal dolore per i nostri morti, ma un'occasione per trovare consolazione nella fede e nella speranza cristiana. In ogni celebrazione eucaristica la comunità cristiana confessa la resurrezione di Gesù Cristo, pregando per i vivi e per quanti già dormono il sonno della pace. Solo alla luce della Pasqua è possibile superare una certa commiserazione per l'umana fragilità e considerare la morte non solo come il termine naturale dell'esistenza, ma come la porta attraverso la quale passare per entrare nella comunione con Dio.

Con realismo sant'Agostino ricorda ai fedeli la misera condizione dell'uomo e come il desiderio di felicità, riposto solo nel tempo presente, sia destinato a naufragare: "Noi desideriamo la vita, non l'otteniamo perché destinati a morire e, proprio per questo, siamo tanto più disgraziati" (disc. 229/H, 2). La vita non può essere determinata né dal caso né da un destino irrevocabile, ma si volge verso un orizzonte di eternità: "È venuto il Signore nostro Gesù Cristo ed è come se ci avesse parlato così: Di che cosa avevate paura, o uomini che io ho creato e che non ho abbandonato? Ecco, muoio io; ecco, patisco io; ecco, quel che temevate non temetelo più, perché io vi faccio vedere quel che dovete sperare. Egli ha fatto proprio così, ci ha fatto vedere la resurrezione verso l'eternità" (disc. 229/H, 3). La centralità della fede nel Risorto sostiene la virtù della speranza: Cristo, infatti, "è risorto per darci un motivo di speranza, affinché, essendo destinati alla morte, non disperassimo e non pensassimo che con la morte la nostra vita è totalmente finita" (disc. 261, 1). La vita, dono di Dio, non si perde con la morte, ma è trasformata: siamo stati creati per diventare cittadini di una dimora eterna nel cielo. Questa finalità orienta le scelte del tempo presente: "Voi vivrete in eterno, se sarete vissuti bene" (disc. 229/H, 3). Vivere bene oggi, per godere in eterno Dio!

La Sacra Scrittura aiuta a percepire il senso cristiano della morte. Un disegno di Dio attraversa l'intera storia della salvezza: dalla creazione dell'uomo sino all'incarnazione del Figlio di Dio, dalla sua morte e resurrezione fino alla vita eterna di ogni credente. Non si dà vita beata senza il carattere dell'eternità. E, seguendo l'ispirazione dell'evangelista Giovanni, per vita eterna si deve intendere la conoscenza del mistero che avvolge il Padre e il Figlio, la loro relazione di amore e di comunione reciproca che è comunicata agli uomini: "Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo" (Gv 17, 3). Il verbo conoscere, più che a un apprendimento di tipo cognitivo o intellettuale, rimanda alla comunione vitale con Dio, alla visione divina che, per sant'Agostino, dispone l'uomo alla lode senza fine: "Se la vita eterna è conoscere Dio, tanto più tendiamo verso la vita quanto più progrediamo nella conoscenza di Dio. Nella vita eterna non moriremo: la conoscenza di Dio sarà perfetta quando la morte non ci sarà più. Allora Dio sarà sommamente glorificato" (Comm. al Vangelo di Giovanni 105, 3).

Il brano evangelico di questa domenica è incentrato sulla volontà benevola del Padre, che invia il Figlio nel mondo per renderci partecipi della sua stessa vita. Non è dunque la morte a pronunciare l'ultima parola sulla storia del mondo, ma Dio per mezzo del suo Figlio. E la parola del Figlio svela il volere del Padre: che tutti siano salvati, perché il Figlio non può perdere nessuno di quelli che il Padre gli ha affidato. Egli è il pane di vita disceso dal cielo, che comunica la stessa vita di Dio. Il potere di Dio, infatti, è di dare la vita, non di toglierla; la sua azione è di recuperare, come fa il buon pastore, chi si è allontanato dalla fede per riportarlo al Padre. Chi crede alla parola del Figlio e vive in comunione con Lui, già sperimenta in anticipo gli effetti della resurrezione definitiva.

Sant'Agostino esprime questo desiderio del cuore a conclusione delle sue Confessioni, quando interpreta il riposo di Dio, dopo la creazione dell'uomo, come prefigurazione della quiete definitiva che l'uomo raggiungerà non dissolvendosi nella polvere di morte, ma vivendo in comunione con il Dio vivente: "Signore Dio, donaci la pace, la pace del riposo, la pace del sabato, la pace senza tramonto... Noi pure, dopo compiute le nostre opere, buone assai per tua generosità, nel sabato della vita eterna riposeremo in te" (Conf. XIII, 35.50-36.51). La nostra fede è fondata su questa certezza: Dio, amante della vita, prepara per noi una beatitudine e una pace senza fine, quando "Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate" (Ap 21, 4).

Commento di Padre Pasquale Cormio, rettore della Basilica di Sant'Agostino in Campo Marzio e priore della Comunità agostiniana a Roma