Omelia (26-10-2025)
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COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura di Francesco Botta

La Parola di Dio in questa trentesima domenica del tempo ordinario insiste ancora sulla preghiera. Nel vangelo di Luca si tratta di un tema ricorrente e quindi importante, come ci rendiamo conto nella nostra vita di credenti: non possiamo fare a meno di pregare, perché non possiamo fare a meno di vivere il rapporto con il Padre. Le letture odierne portano l'attenzione sullo sguardo di predilezione che Dio ha nei confronti di coloro che più hanno bisogno del suo amore e cercano la sua misericordia: ‹‹la preghiera del povero attraversa le nubi›› (Sir 35,21). La parabola riportata nel vangelo ci indica questa predilezione dell'amore del Padre nei confronti di chi più necessita della sua misericordia, della sua presenza e della sua protezione. Chi ha bisogno di sentirsi amato e protetto è il destinatario della misericordia di Dio. Vediamo l'aspetto principale della preghiera che Gesù intende presentare attraverso questa parabola e attraverso i due personaggi da lui menzionati.
L'aspetto principale su cui Gesù vuole porre attenzione si evince dai destinatari della parabola: ‹‹Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri›› (Lc 18,9). C'è un rischio ricorrente nell'esperienza religiosa, che riguarda il sentirci giusti e in regola nel rispettare alcuni precetti esteriori e disprezzare chi non lo fa. Tante volte può nascere in noi la presunzione di stare a posto con la coscienza per aver adempiuto alcune pratiche, con il rischio di viverle senza cuore. È il rischio dell'uomo religioso di ogni tempo. L'idea di giustizia per Gesù non ha a che fare con pratiche esteriori, né tantomeno con i propri meriti. La parabola, così come tutto l'annuncio di Gesù, presenta una paternità divina che rivolge il suo amore verso chi sa e sente di averne un profondo bisogno. Ci sarebbe da chiedere se noi ci avviciniamo a Dio per ricevere una ricompensa o perché abbiamo bisogno della sua presenza. Un padre e una madre cercano in ogni modo di far sentire il loro amore per il figlio, specialmente quando questi ne ha più bisogno. Se un padre o una madre dovessero amare il proprio figlio solo quando se lo merita, non sarebbe veramente amore. Di fronte a Dio siamo figli che hanno un bisogno inimmaginabile di amore e misericordia.
Il fariseo. Il primo personaggio viene descritto da Gesù attraverso alcuni atteggiamenti chiari: è in piedi e prega "verso di sé", come afferma il testo greco originale. Si tratta di una preghiera autocentrata e autoreferenziale, nella quale egli elenca i suoi meriti, per i quali si aspetta una ricompensa: è in regola, non è ladro, non è ingiusto, non è adultero, digiuna e paga la decima. Un curriculum religioso di tutto rispetto. Eppure manca ciò che più conta: il bisogno di Dio e l'amore. Non c'è preghiera senza amore. A volte anche nelle nostre relazioni rischiamo di mettere sul piatto quello che facciamo per l'altro; il problema è che rischiamo di fare senza amare. Il primato del cuore è ricorrente nell'annuncio di Gesù.
Il pubblicano. Il secondo personaggio non prega verso di sé, ma rimane a distanza e non osa neanche alzare lo sguardo. Gesù descrive il pubblicano come un uomo che ha un estremo bisogno di sentirsi riavvicinato e rialzato: un uomo che ha bisogno di sentirsi guardato, riconosciuto, amato, giustificato. Se il fariseo si sente giusto, il pubblicano ha bisogno di sentirsi amato. Nel vangelo Cristo intende giustificare l'uomo con l'amore: è l'amore che ci rende giusti, non i meriti. Non la pretesa di essere giusti per i nostri meriti, ma l'esperienza di essere giustificati dal suo amore. L'amore ci fa essere quello che siamo realmente. Il pubblicano ha bisogno di misericordia e questo desiderio lo fa tornare a casa giustificato, ovvero amato. Il fariseo cerca una ricompensa, il pubblicano cerca l'amore.
La preghiera nella vita del credente non è una dimensione che può esserci come non esserci. La preghiera è il rapporto stesso con il Padre e di questo rapporto ne abbiamo un estremo bisogno, perché non possiamo fare a meno di essere figli. Il nostro cuore ci ricorda che anche noi abbiamo bisogno di essere guardati, riconosciuti, riavvicinati, rialzati, amati. Mettersi davanti a Dio così come siamo ci permette di tornare a casa, perché come figli abbiamo sempre bisogno di tornare a casa.