Omelia (26-10-2025)
don Giacomo Falco Brini
C'è preghiera e preghiera e c'è giustizia e giustizia

Una parabola detta da Gesù, quella di oggi, per alcuni che avevano l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri. Ovvero per alcuni che avevano profonda convinzione di essere giusti, di essere "a posto così", insomma una convinzione molto radicata. E che, nello stesso tempo, squalificavano gli altri. La congiunzione sembra suggerire che tra le due cose ci sia una correlazione diretta. Effettivamente l'esperienza lo conferma. Chi sottolinea la propria autosufficienza, chi si sente a posto e sempre in credito verso tutti, chi vive nella perenne preoccupazione di affermare o difendere la propria reputazione, chi è convinto di essere sempre dalla parte di Dio e di saper sempre esprimere la parte di Dio, generalmente costui giudica gli altri e cerca il controllo sugli altri, quando non li disprezza. Come non riconoscere nel profilo del fariseo della parabola una persona fatta così? Una persona "tutta d'un pezzo" come diremmo oggi, che sta in piedi, e che però il testo già smaschera in qualche modo nella introduzione della sua preghiera: pregava così tra sé. Come se la sua preghiera, al contrario di quella del povero della 1a lettura di oggi (che attraversa le nubi), nemmeno decollasse verso Dio, perché rimbalza su sé stessa.

Il fariseo, se ci pensate, non esprime semplicemente presunzione, ma il colmo della presunzione. Perché cominciando a parlare con Dio, inizia con quello che bisognerebbe sempre sentire ed esprimere verso Dio, cioè gratitudine. Il fariseo ringrazia, ma qual è il contenuto del suo ringraziamento? Due sono le motivazioni del suo ringraziamento: 1) Perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 2) Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo. Nella prima motivazione il fariseo ringrazia Dio perché non lo ha fatto come gli altri, perché si distingue dagli altri, perché in qualche modo il male che arriva a identificare gli altri non lo riguarda. La sua coscienza di superiorità giunge a inglobare persone generiche non presenti o presenti (il pubblicano che è lì con lui al tempio). Nella seconda motivazione egli sottolinea ciò per cui ogni fariseo si distingueva in seno al popolo di Israele: l'essere inappuntabile quanto alle opere prescritte dalla Legge, come il digiuno e il dare le decime di tutto ciò che si possedeva. In sintesi: il fariseo pensa di avere Dio interlocutore come fosse colui che coltiva e ha riguardo solo di alcuni uomini come lui, esenti dal male degli altri, perché il male lo fanno solo gli altri. Crede che Dio si conceda solo a chi, come lui, pratica certe cose dettate dalla Legge. Sembra proprio uno che conosce Dio come le proprie tasche...

Il profilo molto umano del pubblicano è facilmente individuabile. Intanto, è uomo di poche parole nella preghiera. E poi il testo ci dice che si ferma a distanza, che non osava nemmeno alzare gli occhi al Cielo ma si batteva il petto. Un comportamento che denota coscienza della propria povertà e piccolezza, coscienza di essere peccatore, coscienza di avere bisogno della misericordia divina, senza la sicurezza di conoscere bene il proprio interlocutore: oh Dio, abbi pietà di me peccatore! Il vangelo conclude dicendo che quest'uomo a differenza dell'altro tornò a casa giustificato, cioè torna a casa dalla sua preghiera reso giusto. L'insegnamento di Gesù allora è cristallino. Chi pensa di essere giusto per quello che fa, perché pensa di conoscere Dio, credendo che Dio sia e si comporti come il suo Io, torna a casa in una bolla di illusione, senza nemmeno incontrare Dio nella preghiera. Rimarrà da solo con la propria "giustizia" che non lo salva. Chi invece si avvicina a Dio a partire dalla propria realtà di peccato, senza nascondersela, e grida a Dio per ottenere misericordia, da Dio che è Misericordia riceverà la pietà che domanda. E sarà Dio che lo farà giusto, poiché in virtù delle opere della Legge nessun uomo è giustificato davanti a Lui, perché per mezzo della Legge si ha solo la conoscenza del peccato...noi riteniamo infatti che l'uomo è giustificato dalla fede in Gesù, indipendentemente dalle opere della Legge (Rm 3,20-28). Dunque la parabola ci mette difronte a una salutare diagnosi della nostra preghiera. Perché ci farà bene scoprire se in essa sto cercando di essere qualcuno davanti a Dio, di essere giusto difronte a Lui, oppure se sto cercando veramente Lui per il bisogno che ho di essere salvato dalla sua giustizia, che è misericordia per il mio peccato.