| Omelia (26-10-2025) |
| Agenzia SIR |
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Chi si umilia sarà esaltato Una nuova parabola, propria di san Luca, è al centro della Liturgia della Parola della XXX domenica del Tempo Ordinario. È l'evangelista stesso ad offrirci la chiave di lettura del racconto, svelando la finalità dell'insegnamento del Signore: correggere quanti si ritengono giusti, i quali, per un'intima presunzione che sfiora l'arroganza, formulano un giudizio severo verso i peccatori. È il pericolo per ciascun discepolo: presumere di sé e giudicare gli altri fino al punto di disprezzarli. La parabola è ambientata nel tempio, in un momento di preghiera personale. I personaggi sono paradigmatici, espressione di due categorie agli antipodi: un fariseo, osservante della Legge, ed un pubblicano, noto peccatore ritenuto lontano dagli uomini e da Dio. Dalle parole che i due pronunciano intuiamo l'intenzione del cuore. Il fariseo, stando in piedi alla presenza di Dio, formula la sua preghiera tra sé e sé, riconoscendosi scrupoloso nell'osservanza delle pratiche di digiuno e di decime da pagare e ringraziando Dio per essere capace di assolvere i doveri religiosi. Su questa prima parte non vi sarebbe nulla da eccepire, se il fariseo non cadesse nel peccato di giudizio avventato e temerario: a partire dal confronto tra sé, giusto, e tutti coloro che vivono nel peccato, la sua preghiera si trasforma in una condanna inappellabile per chi vive lontano dalla Legge divina, come ladri, ingiusti, adùlteri e pubblicani. La superbia completa l'opera: a partire da una ritenuta superiorità morale e religiosa, il fariseo rivendica meriti raggiunti con le proprie opere. Ai monaci, convenuti nei monasteri per vivere la comunione fraterna a servizio della Chiesa, sant'Agostino ricorda che la superbia instilla nel cuore dell'uomo un rovinoso amore per se stessi ed è capace di guastare le opere buone e meritevoli, svuotandole di ogni valore salvifico (cfr. Regola 1.7). Commenta ancora il vescovo di Ippona in un'omelia sul nostro passo evangelico: "Perché il fariseo è superbo? Non certo perché ringraziava Dio per i suoi beni, ma perché si elevava in quelle stesse virtù al di sopra dell'altro" (Comm. al Salmo 31, II, 10). Passiamo a considerare il pubblicano, fermatosi a debita distanza e che prega con lo sguardo abbassato, riconoscendosi indegno al cospetto di Dio e battendosi il petto come segno di pentimento. Le brevi parole che pronuncia sono una supplica a Dio, senza giudicare gli altri: riconosce di essere peccatore, non lo nasconde e si affida alla misericordia divina. Sant'Agostino così interpreta la posizione del nostro personaggio: "Per questo il pubblicano non osava levare gli occhi al cielo, perché guardava in se stesso e puniva la sua coscienza; si faceva giudice di se stesso, di modo che il Signore intercedesse per lui; si puniva da sé perché Egli lo liberasse; si accusava perché Egli lo difendesse" (Comm. al Salmo 31, II, 12). O Dio, abbi pietà di me peccatore! È la preghiera efficace, che scaturisce da una verità profonda: di fronte alla santità di Dio, non possiamo che mendicare la sua misericordia. A differenza del fariseo, che aveva elogiato le proprie buone opere attribuendole alle sue capacità e ad una integra condotta di vita, il pubblicano invece lascia a Dio l'iniziativa di rinnovare la sua persona. Il fariseo punta sulla sua giustizia, mentre il pubblicano confida nella giustificazione, che Dio concede a chi mostra un cuore umile e contrito. La conclusione della narrazione è provocatoria: Dio giustifica, ovvero salva, il pubblicano per la sua fede, accogliendone la preghiera; il fariseo, invece, resta prigioniero della propria presunzione e religiosità formale. Chi si esalta, non lascia spazio all'azione di Dio nella propria vita, non ha nulla da chiedere ma solo meriti da ostentare, a differenza del peccatore che attende, in quanto bisognoso, ogni bene da Dio. In modo lapidario conclude sant'Agostino: "Quel ricco fariseo vantava i suoi meriti, il misero pubblicano confessava i suoi peccati" (Comm. al Salmo 85, 2). Commento di Padre Pasquale Cormio, rettore della Basilica di Sant'Agostino in Campo Marzio e priore della Comunità agostiniana a Roma |