Omelia (19-10-2025)
don Lucio D'Abbraccio
Alzare le braccia e non stancarsi: il segreto della preghiera che ottiene risposta!

A chi di noi non è mai capitato di sentirsi come davanti a un muro di gomma? Pensate a quando dovete risolvere un problema burocratico: telefonate a un call center, vi mettono in attesa con una musichetta snervante, poi vi passano un ufficio, poi un altro, e alla fine cade la linea. Oppure pensate a un genitore che, dopo una giornata di lavoro, si sente dire per la ventesima volta dal figlio: «Me lo compri? Dai, me lo compri?». La prima reazione è l'esasperazione, la voglia di dire: «Basta, lasciami in pace!». A volte, purtroppo, rischiamo di pensare che anche Dio reagisca così alle nostre preghiere. Preghiamo una volta, due, dieci... e se la risposta non arriva subito, ci scoraggiamo e pensiamo: «Forse non mi ascolta. Forse si è stancato di me. Forse non vale la pena insistere».
Ecco, il Vangelo di oggi viene a scardinare completamente questa nostra visione pessimistica e sfiduciata. Gesù, che conosce bene il nostro cuore e la nostra tendenza a «perderci d'animo», ci racconta una parabola volutamente provocatoria, per insegnarci - come dice Luca all'inizio - «la necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai».
La protagonista è una vedova, una delle figure più deboli e indifese della società di allora. Non ha nessuno che la protegga. Il suo avversario ha la meglio su di lei. L'unica cosa che può fare è rivolgersi a un giudice. Ma che giudice! Un uomo che, ci dice il Vangelo, «non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno». Un uomo senza scrupoli, a cui non importa nulla né della giustizia divina, né della sofferenza umana. Immaginate questa povera donna che ogni giorno si presenta davanti a lui: «Fammi giustizia!». E lui, niente. Un giorno, due giorni, un mese. Ma lei non molla. È insistente, tenace, potremmo dire «fastidiosa». E alla fine, cosa succede? Il giudice cede. Non perché si converta, non perché diventi buono, ma per puro sfinimento! Dice a se stesso: «Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi».
A questo punto dobbiamo stare molto attenti perché Gesù non sta dicendo che Dio è come quel giudice disonesto. Al contrario! Il ragionamento di Gesù è che se persino un giudice cattivo, per puro egoismo, finisce per dare ascolto a una vedova insistente, volete che Dio, che è Padre buono e giusto, non ascolti i suoi figli che gridano a Lui giorno e notte? «Li farà forse aspettare a lungo?». Certo che no!
Ebbene, la preghiera insistente non serve a convincere un Dio distratto o a piegare la volontà di un Dio testardo. Serve a noi. Serve a trasformare il nostro cuore. Pensate a uno studente che prepara un esame difficile. Non basta studiare una notte. Deve applicarsi ogni giorno, con costanza, con perseveranza. Quella fatica quotidiana non cambia la materia, ma rende lo studente più preparato, più forte, più consapevole. Così è la preghiera: pregare con insistenza per una situazione difficile, per la conversione di una persona cara, per superare un vizio che ci tormenta, scava dentro di noi un desiderio più grande, purifica le nostre intenzioni, aumenta la nostra fede e ci fa dipendere totalmente da Lui.
E che la preghiera sia una «lotta», una fatica che richiede perseveranza, ce lo mostra magnificamente la prima lettura, tratta dal libro dell'Esodo. Mentre Giosuè combatte contro Amalèk nella valle, Mosè sta sul monte, con le braccia alzate in preghiera. È un'immagine potentissima: quando Mosè tiene le braccia alzate, Israele vince; quando la stanchezza lo assale e le abbassa, Israele perde. La preghiera è decisiva per l'esito della battaglia della nostra vita! Ma notate un dettaglio fondamentale: Mosè da solo non ce la fa. Le sue braccia si appesantiscono. Ha bisogno di Aronne e di Cur che gliele sostengano, uno da una parte e uno dall'altra. Che splendida immagine della Chiesa! Nessuno di noi prega da solo. A volte siamo noi a sostenere la preghiera di un fratello che è stanco e scoraggiato; altre volte sono i fratelli e le sorelle della comunità a sostenere le nostre braccia quando non abbiamo più la forza. La preghiera comunitaria, l'intercessione gli uni per gli altri, è ciò che ci permette di «non stancarci».
E dove troviamo la forza per questa insistenza? Ce lo dice il Salmo 120: «Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l'aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore». La nostra forza non viene da noi, ma dalla certezza che Dio è il nostro custode, non si addormenta, non ci abbandona mai.
La storia della Chiesa è piena di «vedove insistenti», di «Mosè con le braccia alzate». Pensiamo a Santa Monica. Per diciassette anni ha pregato e versato lacrime per la conversione di suo figlio Agostino, che viveva una vita dissoluta e lontana da Dio. Umanamente parlando, una causa persa. Quante volte si sarà sentita scoraggiata? Quante volte avrà pensato di mollare? Ma non lo ha fatto. Ha continuato a «importunare» Dio con il suo amore di madre. E il risultato lo conosciamo tutti: Agostino non solo si è convertito, ma è diventato uno dei più grandi santi e dottori della Chiesa. Proprio lui, Sant'Agostino, scrivendo sulla preghiera, ci ricorda: «Dio non vuole che gli manifestiamo il nostro volere per farglielo conoscere, ma perché, pregandolo, si accresca la nostra capacità di desiderare, così da renderci capaci di accogliere ciò che egli si prepara a darci». La preghiera insistente allarga il nostro cuore per renderlo capace di ricevere i doni immensi di Dio.
L'invito di San Paolo a Timoteo nella seconda lettura, «annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno», vale anche per la nostra preghiera. Dobbiamo insistere. Quando ne abbiamo voglia e quando non ne abbiamo. Quando tutto va bene e quando tutto sembra crollare.
Il Vangelo, però, si chiude con una domanda di Gesù, una domanda quasi malinconica e rivolta a ciascuno di noi, oggi: «Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». Vedete, la fede di cui parla Gesù non è un'idea astratta. È proprio questa capacità di pregare senza stancarsi, questa fiducia incrollabile che, anche quando tutto sembra buio, Dio nostro Padre è all'opera per noi. Ebbene, Gesù troverà in noi questa fede tenace?
Chiediamo aiuto a colei che è il modello perfetto di questa fede perseverante: la Vergine Maria. Lei è la «vedova» del Vangelo che non si è mai arresa. Ha custodito ogni parola nel suo cuore, ha pregato ai piedi della Croce quando ogni speranza sembrava morta, ha perseverato in preghiera con gli apostoli nel Cenacolo in attesa dello Spirito Santo. Lei è la nostra Aronne e la nostra Cur: quando le nostre braccia si fanno pesanti e la stanchezza spirituale ci assale, aggrappiamoci a Lei. Chiediamole di sostenere la nostra preghiera, perché possiamo anche noi, come lei, non stancarci mai di bussare al cuore di Dio, certi che il nostro aiuto viene dal Signore, che ha fatto cielo e terra. Amen!