Omelia (19-10-2025)
don Alberto Brignoli
Missionari di Speranza

La fede, la speranza e la carità: sono quelle che, descritte da Paolo nella prima lettera ai Corinti, abbiamo imparato a conoscere come le "virtù teologali", ovvero quei doni che abbiamo ricevuto da Dio e che dobbiamo alimentare nel corso della nostra vita per rimanere uniti a lui. Non sono doni acquisiti una volta per sempre: se non li alimentiamo, rischiamo di perderli.
Riguardo alla fede, ad esempio, il Vangelo di oggi termina con una domanda di Gesù che, in maniera provocatoria, non trova risposta: "Il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?". Con un po' di sano realismo, potremmo dire a Gesù che oggi la risposta alla sua domanda l'abbiamo: a vedere quanta indifferenza c'è nei confronti delle cose di Dio, ci viene naturale dire "No, il Figlio dell'uomo non troverà più la fede sulla terra, al suo ritorno: o comunque, ne troverà davvero poca".
Per non parlare della carità: che cosa ne abbiamo fatto di questo dono, che Paolo ritiene il più grande di tutti, se il mondo è pieno zeppo di odio, di guerre, di violenze - a partire già dalle mura domestiche -, di ingiustizie e di malvagità? Ad ogni modo, anche se non vediamo intorno a noi e dentro di noi fede e carità, possiamo sempre dire che da qualche parte, nel mondo, un po' di fede in Dio e di amore verso il prossimo riusciamo ancora a trovarli. Per cui, anche se li perdiamo o fatichiamo a vederli, da qualche parte sempre possono scaturire.
Ma sulla speranza c'è poco da fare: se la perdiamo, siamo perduti. Se ognuno di noi, singolarmente, perde la speranza in qualcosa di migliore rispetto al presente, può dire conclusa la propria esistenza; se il mondo smette di coltivare la virtù della speranza, non può certo parlare di futuro. Ecco perché l'Anno Santo del Giubileo che si avvia verso la conclusione è dedicato alla virtù della Speranza: il compianto e indimenticato papa Francesco aveva scelto questo tema perché aveva avvertito l'urgenza di dare, a questo mondo che vive un cambiamento di epoca, forti segnali di speranza. E sempre per questo motivo aveva deciso, nello scorso mese di gennaio, di dedicare la Giornata Missionaria Mondiale e il messaggio a essa legato proprio a questo tema: "Missionari della Speranza".
All'interno del messaggio, papa Francesco ha inserito una famosa citazione tratta da uno dei documenti più belli del Concilio Vaticano II, la Costituzione Gaudium et Spes sulla presenza della Chiesa nel mondo contemporaneo. Pur essendo passati più di sessant'anni, questo testo rimane ancora tremendamente attuale: "Di fronte all'evoluzione attuale del mondo, diventano sempre più numerosi quelli che si pongono o sentono con nuova acutezza gli interrogativi più fondamentali: cos'è l'uomo? Qual è il significato del dolore, del male, della morte, che continuano a sussistere malgrado ogni progresso? Cosa valgono quelle conquiste pagate a così caro prezzo? Che apporta l'uomo alla società, e cosa può attendersi da essa? Cosa ci sarà dopo questa vita?". Sono interrogativi tipici della nostra epoca, che pare essere un'epoca davvero senza speranza per il bene dell'umanità...
Che cosa possiamo fare, allora, per essere Missionari della Speranza nel mondo in cui viviamo, nella situazione in cui ci troviamo, anche e soprattutto come discepoli di Gesù? Mi è venuto da pensare a tre aspetti, anche molto pratici, perché questa Giornata Missionaria Mondiale possa portare in noi e nelle nostre Comunità semi di speranza.
• Il primo lo definirei così: "Annunciare la Speranza". Quando si parla di missione e di missionari, soprattutto in giornate come questa, è quasi scontato che il pensiero vada a quei fratelli e a quelle sorelle che, lasciando la loro terra, vivono un'esperienza di annuncio e di promozione umana in altre Chiese del mondo, specialmente quelle più povere materialmente. Eppure, ci dimentichiamo che il Battesimo ci rende tutti quanti missionari, ovvero annunciatori del Vangelo. Ebbene: in un mondo come il nostro, che si crede ricco economicamente e spiritualmente, c'è una tremenda necessità di annuncio del Vangelo. Non facciamoci illusioni: siamo terra di missione, né più né meno di quelle terre che continuiamo a considerare oggetto della nostra attenzione perché giunte alla fede cristiana dopo di noi. Abbiamo bisogno di cristiani missionari qui; abbiamo bisogno di cristiani che si facciano carico delle varie forme di povertà presenti qui, sul nostro territorio. E non parlo solo di povertà materiali, anzi: parlo soprattutto di povertà spirituali, di povertà morali, di povertà psicologiche ed esistenziali. Una buona parola, un gesto d'affetto, un momento di vicinanza verso chi è solo e chi soffre siamo capaci tutti di donarli: farlo, ci rende pienamente Missionari della Speranza e annunciatori del Vangelo, anche se non partiremo mai per altre terre.
• Il secondo lo chiamerei "Ricercare la Speranza". E qui, ci vengono in aiuto le Chiese sorelle di altri paesi del mondo. Ve lo dico per esperienza: fuori dal nostro vecchio Continente già cristiano e ora scristianizzato c'è un vitalità di fede che definire impressionante è poco. C'è un entusiasmo nel vivere la vita di fede e di Chiesa che ce lo sogniamo di notte. C'è una forza di rinnovamento della dimensione spirituale che ci farebbe tanto bene respirare a pieni polmoni. Come? Andando alla ricerca di queste Chiese ricche di speranza. Qui la proposta si fa un po' più impegnativa e di certo non aperta a tutti: se abbiamo la possibilità, soprattutto se siamo ancora giovani e in salute, invece di fare belle vacanze in posti più o meno esotici, prendiamoci un mese, o anche solo quindici giorni, per fare un'esperienza missionaria in alcuni di questi paesi. Vi do per certo, perché l'ho sperimentato, che si torna a casa cambiati, non solo per le situazioni di povertà che si incontrano, ma anche e soprattutto per la ricchezza delle esperienze di fede con cui veniamo a contatto.
• Termino con il "Ridare la Speranza". Lo sappiamo bene, ed è inutile negarlo: le Chiese più povere del mondo ci insegnano tanto dal punto di vista della fede, ma anche ci chiedono molto dal punto di vista dei beni materiali che scarseggiano, della salute che manca, dell'istruzione che non c'è, della disparità sociale creata il più delle volte dal nostro mondo nord-occidentale. Le occasioni per aiutare materialmente queste popolazioni non mancano, a partire dalla Giornata odierna; possiamo farlo anche attraverso i missionari delle nostre chiese locali che meglio conosciamo, oppure attraverso organizzazioni serie che in ogni parte del mondo aiutano concretamente chi si trova in situazioni di estrema povertà. Anche il nostro aiuto concreto ci rende missionari, perché ci aiuta a ridare speranza di vita a chi l'ha perduta. La stragrande maggioranza di noi non partirà mai per la missione; ma la totalità di noi è in grado di essere in missione con il proprio sostegno materiale, oltre che con la preghiera, necessaria - come dice il Vangelo di oggi - senza stancarci mai.