Omelia (12-10-2025)
don Lucio D'Abbraccio
Il cuore grato che torna indietro!

Il Vangelo di oggi ci presenta una scena che racchiude un insegnamento profondissimo per la nostra vita. La scena si apre con dieci lebbrosi. A quel tempo, la lebbra era una condanna a morte sociale: esclusi, impuri, cadaveri che camminavano. Eppure, da lontano, uniscono le loro voci in un unico, potente grido: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». È il grido di chi soffre, lo stesso grido che sale oggi dal cuore di chi si sente solo, di chi lotta con una dipendenza, di chi è prigioniero del rancore o della malattia. La risposta di Gesù è sorprendente. Non li guarisce all'istante, ma chiede un atto di fede cieca: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». L'evangelista Luca annota che «mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo». Colui che torna indietro per ringraziare era un samaritano, considerato straniero ed eretico dai giudei.

Gesù, dunque, non si limita a guarire i corpi malati. Lui cerca i cuori guariti. Quando quell'unico lebbroso torna indietro, si prostra ai piedi di Gesù e gli rende gloria, il Signore pone una domanda che attraversa i secoli e arriva fino a noi: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono?». È una domanda che dovrebbe risuonare nel nostro cuore ogni giorno. Dove siamo noi quando riceviamo una grazia, una benedizione, una guarigione?

Pensiamo alla nostra vita quotidiana. Quante volte chiediamo a Dio con insistenza: un lavoro, la salute per un familiare, la risoluzione di un problema economico, la pace in famiglia. E quando finalmente la grazia arriva, quante volte ci ricordiamo di ringraziare? Siamo come quei nove lebbrosi che corrono via, felici della loro pelle risanata, ma dimentichi di Chi li ha guariti. Continuiamo a chiedere, sempre a chiedere, come bambini capricciosi che pretendono regali ma non dicono mai «grazie».

Sant'Agostino, con la sua consueta profondità, commentando questo passo dice: «La gratitudine è non soltanto la più grande delle virtù, ma la madre di tutte le altre». E aveva ragione! Quando dimentichiamo di ringraziare, il nostro cuore si indurisce, diventa arido. Pensiamo a quelle persone che vivono nella lamentela continua, che non sanno vedere il bene ricevuto: sono sempre insoddisfatte, sempre arrabbiate con la vita, con gli altri, con Dio stesso.

Il samaritano invece torna indietro. Lascia la folla, interrompe la sua corsa verso casa, verso i suoi cari che lo aspettano, e compie un gesto controcorrente: ritorna da Gesù. Questo «tornare indietro» è fondamentale. Nella nostra vita frenetica, dove corriamo sempre avanti, inseguendo mille cose, il Signore ci chiede di fermarci, di fare inversione di marcia, di tornare a Lui con il cuore riconoscente.

Santa Teresa di Calcutta raccontava che, tra i poveri che accoglieva nelle sue case, i più difficili da aiutare non erano quelli che avevano fame di pane, ma quelli che avevano il cuore indurito dall'ingratitudine. Diceva: «La peggiore malattia non è la lebbra o la tubercolosi, ma il sentirsi non amati, non voluti». E come si può sentire l'amore di Dio se non si riconosce tutto ciò che Lui ci dona?

Guardiamo ai piccoli gesti quotidiani. Un marito che non ringrazia mai la moglie per il pranzo preparato con amore; una moglie che non riconosce il sacrificio del marito che lavora; figli che considerano tutto dovuto, dai genitori che si alzano all'alba per loro. E così la gratitudine scompare dalle famiglie, e con essa scompare la gioia. Perché - attenzione - Gesù dice al samaritano: «La tua fede ti ha salvato!». Non dice «guarito», dice «salvato». Gli altri nove erano stati guariti nel corpo, ma solo lui è stato salvato nell'anima, perché solo lui ha riconosciuto la grazia ricevuta.

San Giovanni Crisostomo ci ricorda: «Nulla eccita tanto Dio alla misericordia quanto il nostro essere grati per i benefici che ne riceviamo». È come se la gratitudine aprisse le porte del Cielo, predisponesse Dio a riversare su di noi ancora più benedizioni. Non perché Dio sia avaro e aspetti il nostro ringraziamento per darci altro, ma perché un cuore grato è un cuore aperto, capace di accogliere, mentre un cuore ingrato è chiuso, impermeabile alla grazia.

Pensiamo a San Francesco d'Assisi che vedeva in ogni creatura un dono di Dio e rendeva grazie per tutto: per fratello sole, per sorella luna, per frate foco, persino per «sora nostra morte corporale». Oppure a San Pio da Pietrelcina che, nonostante le sofferenze, le stigmate, le incomprensioni, ripeteva continuamente: «Ringrazio il buon Dio di tutto quello che mi manda». Ecco il segreto dei santi: hanno imparato a ringraziare sempre, in ogni circostanza, anche nelle prove.

Ma come possiamo coltivare un cuore grato? Iniziamo dalle piccole cose. Ogni sera, prima di dormire, prendiamoci cinque minuti per elencare almeno tre cose belle della giornata. Può essere un sorriso ricevuto, un caffè bevuto con calma, il sole che entra dalla finestra, la salute che ci permette di camminare. Riscopriamo il valore del «grazie» nelle nostre relazioni. Ringraziamo chi ci serve al supermercato, chi guida l'autobus, chi ci tiene la porta. E soprattutto, torniamo da Gesù nell'Eucaristia - che significa proprio «rendimento di grazie» - per dirgli semplicemente: «Signore, grazie».

Il samaritano si prostra ai piedi di Gesù e gli rende gloria. Ecco il modello della preghiera di ringraziamento: umiltà e lode. Non parole vuote, ma un gesto concreto, un cuore che si abbassa riconoscendo che tutto è dono. Come Maria, la Madre di Gesù, che nel Magnificat canta: «L'anima mia magnifica il Signore... perché ha guardato l'umiltà della sua serva... grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente».

Che la Vergine Maria, maestra di gratitudine, ci insegni ogni giorno a non essere smemorati ma ci conceda la grazia di un cuore grato, capace di riconoscere ogni giorno le meraviglie che il Signore compie nella nostra vita, e di tornare sempre da Gesù per dirgli, con semplicità e verità: «Grazie, Signore, perché sei buono e il tuo amore è per sempre». Amen!