Omelia (12-10-2025)
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COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura di padre Alvise Bellinato

"Se la sola preghiera che dirai mai nella tua intera vita è 'grazie,' quella sarà sufficiente" (Meister Eckhart).
Il tema su cui possiamo riflettere in questa domenica è la gratitudine.
"Noi siamo facili a chiedere, ma non a ringraziare", diceva Padre Pio, e in effetti ci rendiamo conto che, molto spesso, le persone chiedono a Dio tante cose, ma poi si dimenticano di ringraziare. I benefici ricevuti rischiano di non essere riconosciuti e di non cambiare il nostro atteggiamento verso Dio e la nostra scala di valori. L'osservazione di Gesù "Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono?" suona per noi come un richiamo. Il Signore ci fa notare, nella Parola odierna, che è necessario saper anche ringraziare Dio, non solo chiedergli tante cose.
Il tema viene articolato attraverso la presentazione di tre personaggi.
Nella prima lettura il generale Naamàn "torna" (è importante questo verbo) dal profeta Eliseo non solo per ringraziarlo, ma per esprimere la sua gratitudine attraverso un regalo.
È interessante sottolineare quattro piccoli dettagli.
Il primo è che Naamàn esprime bene, in questo desiderio di offrire una ricompensa, la sua identità di generale. Nella vita militare i meriti vengono premiati, i demeriti sanzionati. Un generale sa che quando un soldato si comporta bene deve ricevere un encomio pubblico: non riconoscere un'azione degna di valore sarebbe un venire meno a uno dei principi fondamentali che regolano le relazioni tra coloro che, come diremmo oggi, indossano una divisa. È fondamentale riconoscere le cose buone e sottolinearle, perché siano di esempio anche ai commilitoni. La gratitudine ha un valore anche pedagogico: serve per stimolare l'emulazione negli altri e per non lasciare cadere un aspetto o atteggiamento ritenuto importante. La gratitudine genera anche una nuova gerarchia morale nel gruppo.
Il secondo dettaglio è che Naamàn, un generale arameo di Ben-Hadad II al tempo di Ioram, re di Israele, è a servizio del regno di Damasco. Nella cultura siriana due valori sono sacri: l'ospitalità e la gratitudine. "Tornò con tutto il suo seguito" da Eliseo per esprimere pubblicamente la riconoscenza, rimanendo fedele alla sua cultura. Si riteneva che il rapporto con la divinità fosse regolato in forma abbastanza utilitaristica, su un do ut des; quando si riceveva dalla divinità un beneficio, esso non veniva ritenuto scontato o dovuto, ma veniva riconosciuto. La parola "riconoscenza" deriva da riconoscere. Naamàn ci insegna che ogni dono va innanzitutto riconosciuto, cioè visto. Nel suo caso potremmo dire che era impossibile non vederlo: prima era ricoperto di croste, dopo la grazia ricevuta "la sua carne divenne come quella di un giovinetto; egli era guarito". In genere, il rischio è quello di non vedere, e quindi di non riconoscere, di dare per scontato. La gratitudine, in questo modo di vedere, ha anche valore di compensazione: si cerca di sdebitarsi, di restituire qualcosa in cambio di ciò che si è ricevuto; questo ha a che fare con la virtù della giustizia.
Il terzo dettaglio è che Naamàn dice ad Eliseo: "Ora accetta un dono dal tuo servo". Qui si vede la presa di coscienza onesta di una superiorità, attribuita al Dio di Israele, di cui Eliseo è profeta e portavoce. La gratitudine genera un cambio nella scala di valori che il generale ha nella sua mente: ora il superiore in grado non è più lui, ma l'uomo di Dio che gli sta di fronte. Per uno che è capo di un esercito (e che nel testo viene definito "autorevole e "prode") non è normale rivolgersi a uno straniero riconoscendolo come suo signore e superiore in grado. Non si tratta solo di umiltà, ma di onestà interiore, di realismo, basato su un evento concreto e verificabile. Questo ha a che fare con la verità.
Il quarto dettaglio è la richiesta di portarsi a casa due sacchi di terra, da utilizzarsi per offrire sacrifici su "terra sacra" quando sarà a casa sua. È una richiesta un po' magica, che riflette il retroterra culturale di Naamàn: attribuisce una virtù, un potere, alla terra sulla quale cammina Eliseo, e vuole trasferire queste cose al proprio paese. Naamàn non si rende conto, da buon figlio del suo tempo e della sua cultura nativa, che ciò che conta non è la terra, ma il cuore, la disposizione interiore. Ma pur essendo ancora abbastanza rozzo e primitivo sul piano spirituale, possiede una virtù che spesso è mancata ai credenti scelti da Dio, che sono il suo popolo, contro i quali ha lottato sia Eliseo, che il suo maestro Elia: la fede che genera gratitudine. È decisivo riconoscere che Dio è in mezzo al suo popolo e ringraziarlo. Da quel giorno Naamàn ha offerto olocausti e sacrifici di ringraziamento al Dio di Israele "e mai più ad altri dei".
Naamàn il siro, un personaggio pagano, ci insegna - involontariamente - quattro cose importanti sul piano spirituale: l'esercizio di riconoscere i benefici ricevuti, la virtù della giustizia nel cercare di ricambiare, l'onestà intellettuale di ammettere la nostra piccolezza davanti alla grandezza dei benefici divini, l'importanza della preghiera di ringraziamento.
San Paolo era un nemico dei cristiani e un persecutore di Gesù ("Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?"). Anche lui, come Naamàn, potremmo dire che non aveva le carte in regola per essere di esempio ai credenti.
"Io ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento" dice, senza mezzi termini, al suo figlio spirituale Timoteo, giovane vescovo di Efeso.
Ma anche lui ci insegna qualcosa sulla riconoscenza: "Ricordati di Gesù Cristo", raccomanda nella seconda lettura odierna. "Ricordati di Gesù Cristo, risorto dai morti, discendente di Davide".
Non si tratta di un ricordo intellettuale o meramente storico, e tantomeno di un esercizio mnemonico. Nella Bibbia, quando Dio dice "Ricordati!" è come se dicesse: "Riconosci!". Quante volte, nell'antico testamento, Dio esorta il suo popolo: "Ricordati". È un invito ad aprire gli occhi, a vedere l'opera di Dio, a riconoscere la sua presenza. In questa prospettiva lo sguardo al passato serve a dare senso al presente, la memoria aiuta ad affrontare il futuro, il vedere ciò che Dio ha fatto nella nostra vita ci fa sperare che continuerà.
Ci sono vari tipi di memorie: la memoria rancorosa, la memoria arrabbiata, la memoria delusa, la memoria disincantata. È evidente che qui si tratta di una memoria grata.
Questa memoria piena di gratitudine attrae molte benedizioni su Paolo, lo ispira a elaborare un suo vangelo ("come io annuncio nel mio vangelo") completamente nuovo e originale (che arricchisce il vangelo di Gesù), lo sostiene nel sopportare enormi sofferenze (""fino a portare le catene come un malfattore"), gli dona la grazia di una pazienza soprannaturale ("sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto"). Se la memoria di Paolo fosse stata rancorosa, arrabbiata, delusa e disincantata, probabilmente avrebbe trascorso il resto dei suoi anni a lamentarsi, imprecare, parlare male di Gesù.
Egli ci insegna che la memoria va usata nel modo giusto, esercitandoci a riconoscere con realismo ed onestà ciò che fa parte del nostro passato, affinché tutto questo si trasformi in gratitudine, riconoscenza, ringraziamento.
Non si può essere grati per situazioni che ci hanno fatto soffrire, per torti che riteniamo di aver subito, per ingiustizie di cui pensiamo di essere stati oggetto, per calunnie di cui ci siamo sentiti destinatari. Se attribuiamo a Dio la responsabilità di queste cose, lo riteniamo colpevole delle cose cattive avvenute nella nostra vita (consciamente o inconsciamente) e sarà difficile per noi essere persone grate: il nostro ringraziamento si ridurrà a una specie di sceneggiata, che non risulterà credibile agli occhi di chi ci scruta con attenzione. Non dobbiamo ringraziare in forma artificiosa o forzata: dobbiamo chiedere a Dio che ci aiuti a ricordare nel modo giusto le cose, avendo l'onestà e la verità di ammettere anche i nostri peccati, le malattie, i limiti che hanno reso difficile in noi l'opera di Dio.
Forse è questo il motivo per cui oggi, a molti, risulta difficile avere un rapporto grato con Dio, esprimere una riconoscenza "con tutto il cuore". E a tutti noi San Paolo dà un suggerimento: "Ricordati!".
A completare la serie di coloro che non hanno titolo per insegnarci qualcosa ci pensa infine il samaritano del Vangelo. Dopo il generale pagano e il persecutore dei cristiani, questo personaggio, che oltre ad essere lebbroso è anche "eretico", ci dice qualcosa di significativo.
Se Naamàn "tornò" da Eliseo, se Paolo "torna" con la memoria grata a Gesù, il samaritano "tornò indietro lodando Dio a gran voce". Si tratta di un ritorno sia a livello fisico che interiore.
La persona che torna da Gesù non è più quella che si era allontanata, è un uomo nuovo, che ha ricevuto due guarigioni: una fisica (dalla lebbra) e una spirituale (dalla ingratitudine).
Il linguaggio di Gesù ci può sembrare un po' duro: "Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?"), ma viene attenuato dal finale, pieno di speranza e benedizione: "Alzati e va, la tua fede ti ha salvato".
Anche nell'episodio del samaritano guarito ritorna il legame tra gratitudine e fede.
La gratitudine genera in Naamàn la fede nel vero Dio e la rinuncia agli idoli. La gratitudine fa scaturire in Paolo una fede che gli fa affrontare ogni ostacolo. La gratitudine fa scaturire dal cuore del samaritano una lode di Dio "a gran voce".
Ci possiamo chiedere, con una certa dose di provocazione: possibile che in questa pagina del Vangelo Gesù ci dica qualcosa anche su quanti sono gli ingrati e quanto i grati? Possibile che quel "nove su dieci" esprima anche una indicazione non casuale? Possibile che il 90% dei cristiani si dimentichi di ringraziare e solamente un 10% esprima riconoscenza?
Se digitiamo sul nostro pc "nella Bibbia nulla è casuale", l'intelligenza artificiale ci fornisce questa risposta: "L'affermazione ‘nella Bibbia nulla è casuale' riflette la visione teologica secondo cui ogni evento, anche apparentemente casuale, è parte di un piano o disegno divino prestabilito e significativo. La Bibbia, infatti, spesso sottolinea che tutto ciò che accade è sotto il controllo del Signore, e perfino le circostanze negative possono concorrere alla realizzazione dei Suoi piani per l'umanità".
Lungi dal cadere in un approccio di tipo pagano o fondamentalista alla Scrittura, possiamo però legittimamente chiederci: io sono parte del 90% o del 10%?
Non possiamo poi esimerci dall'osservare un'evidenza macroscopica: coloro che ringraziano Dio sono un pagano, un ex persecutore e un samaritano.
E i cristiani?