| Omelia (12-10-2025) |
| don Alberto Brignoli |
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La gratitudine salverà il mondo Ci siamo mai chiesti quante volte diciamo "Grazie" nell'arco di una giornata? E quante altre sono le volte in cui ci dimentichiamo di dirlo? A volte basta così poco (sei lettere) per esprimere la nostra riconoscenza nei confronti di persone o di situazioni della cui preziosità, nella vita di ogni giorno, non ci rendiamo neppure conto perché occupati in mille pensieri o perché - peggio ancora - riteniamo che tutto quanto ci sia dovuto, come se gli altri fossero quei "servi inutili" del Vangelo di domenica scorsa che non han fatto altro che il loro dovere nei nostri confronti... È vero che spesso ciò che gli altri fanno a nostro vantaggio è legato a situazioni di obbligo, di vincolo, di dovere, e non di gratuità: se pensiamo all'ambito lavorativo o commerciale, non dobbiamo certo sentirci in obbligo di ringraziare una persona che ci offre un servizio da noi retribuito. Eppure, potremmo e dovremmo ringraziare anche chi lavora per noi o chi ci vende un servizio anche solo per la cortesia, per la gentilezza, per la passione che ci mette nel farlo. Di certo, non possiamo dimenticarci di esprimere questo sentimento di riconoscenza verso tutte quelle persone che, a partire dai nostri familiari, parenti e amici, ci fanno dono di sé quotidianamente, e noi spesso lo diamo per scontato; oppure a coloro che, nell'ambito del volontariato, donano tempo, energie, risorse agli altri per puro spirito di dedizione. Penso soprattutto al nostro ambito, quello ecclesiale, dove capita spesso che l'impegno profuso con fatica e senza alcuna ricompensa da parte dei nostri più stretti collaboratori e delle persone che in qualsiasi modo ci aiutano a costruire la comunità cristiana, venga - soprattutto da noi clericali - letto come qualcosa di dovuto, qualcosa che scaturisce da quella ministerialità battesimale che ci deve vedere tutti, laici, religiosi e chierici, spontaneamente e naturalmente coinvolti nella costruzione del Regno: e guai a chi non lo fa! Se sapessimo ringraziare un po' di più di quanto solitamente facciamo! Se sapessimo valorizzare la ricchezza dell'impegno volontario dato a piene mani da tanti nostri collaboratori! Se sapessimo riconoscere con quanta fatica e quanto sforzo, vincendo parecchie resistenze e forse anche qualche contrasto, molti dei nostri collaboratori donano il loro tempo per la costruzione della comunità e della Chiesa! E invece, siamo pronti solo a riprenderli non appena vediamo che qualcosa non va per il verso giusto (magari per colpa nostra...). Certo, si diviene capaci di ringraziare quando si è sperimentato prima di tutto su se stessi la gratuità della grazia di Dio. Si è misericordiosi nella misura in cui si riconosce di aver ottenuto misericordia; si è attenti agli altri nella misura in cui si è consapevoli delle attenzioni che anche noi costantemente riceviamo da Chi ci ha creati. Mentre invece capita che neppure la misericordia che Dio usa nei nostri confronti è capace di smuovere in noi atteggiamenti di misericordia e gratitudine. Il Vangelo di oggi è emblematico: su dieci lebbrosi sanati, uno solo torna indietro a ringraziare; su tanti gesti di misericordia e di pietà che Dio ci concede, a mala pena gli diciamo grazie per un 10%. Il restante 90% è tutto scontato e dovuto; anzi, spesso protestiamo, qualora da Dio non ci venga concesso. La vita di fede deve essere tutta quanta basata su un "Grazie", perché è da Dio che riceviamo la grazia di nascere e vivere; e la vita prosegue in perenne rendimento di Grazie per ciò che abbiamo ricevuto attraverso una carità operosa e condivisa, e terminerà con un "Grazie" per la misericordia che Dio, fino all'ultimo, userà nei nostri confronti. Ma non è una cosa automatica: si tratta di un cammino di continua e profonda conversione, perché a noi più che ringraziare viene spontaneo pretendere dagli altri un "Grazie" per ciò che facciamo, soprattutto quando gli altri si dimostrano ingrati o non sanno valorizzare ciò che con fatica facciamo per loro. Quando noi diciamo: "Non è nemmeno capace di dire grazie! Con tutto quello che io ho fatto per lui!", non facciamo altro che manifestare la nostra mancanza di gratuità nelle relazioni, quasi che ciò che facciamo debba per forza di cose avere il tornaconto della gratitudine: ma noi, nei confronti di Dio e dei fratelli, dimostriamo tutto questo senso di gratitudine che pretendiamo dagli altri? E infine, non dimentichiamoci di guardare a quell'unico che torna a ringraziare il Maestro per l'avvenuta guarigione: si tratta di un samaritano, uno scomunicato, un miscredente, uno che non può essere salvato perché fuori dal popolo della salvezza. E per di più, lebbroso: immondo non solo in senso fisico, ma anche in senso morale. Ebbene, quest'uomo è additato da Gesù come modello di fede, al punto che viene salvato proprio in virtù della sua fede. A dispetto del restante 90%, gente per bene, gente che sente di appartenere al popolo della salvezza, che ha l'unica preoccupazione di andare dai sacerdoti a ottenere il certificato di guarigione perché tutti sappiano che sono tornati uguali agli altri; gente che invece di dire "Grazie" pensa solo a ottenere ciò che ritiene gli sia dovuto; gente che considera scontata la Grazia ricevuta da Dio, per cui non c'è affatto bisogno di tornare a ringraziarlo. Si saranno salvati anche loro, alla fine? Non lo sapremo mai. Ma di certo, non possono essere presi a modello di fede, e quindi non aiuteranno mai gli altri a salvarsi, perché chi non sa dire "Grazie" non è capace di insegnarlo agli altri. E dal momento che viviamo in un istante storico nel quale tutti invocano la pace, tutti esultano per la pace e tutti si dicono uomini di pace senza peraltro dire un "Grazie" a chi la pace la costruisce da sempre nel silenzio e fuori dal clamore mediatico, permettetemi di concludere con una delle frasi più belle pronunciate a braccio - come suo solito - da Papa Francesco, nell'ottobre di due anni fa: "L'ingratitudine genera sempre violenza, mentre un semplice ‘grazie' può riportare la pace!". |