| Omelia (12-10-2025) |
| don Andrea Varliero |
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Cinque ribellioni e una parola madre Un vangelo di ribelli, di inosservanti, di indisciplinati, di trasgressori. Ne conto almeno cinque. Primo indisciplinato è nostro Signore, che nel suo viaggio verso Gerusalemme attraversa posti sbagliati: la Samaria e la Galilea. «Errare» è un verbo straordinario, intessuto di un cammino che è anche un errore; camminando si corre il rischio di perdersi, ma solo così si vive. Brutti posti Lui attraversa, gente ostile, mani che contaminano, villaggi che sporcano. Là, in Samaria, abitano mio fratello e mia sorella con cui non parlo più da anni; hanno la mia stessa fede, eppure non mi riconoscono, mi hanno voltato le spalle. In Galilea abita un'accozzaglia di persone, un misto di credenti e pagani, puri e impuri, gentaglia imperfetta. E Lui entra con tutto se stesso, immergendosi nell'umanità dei senzadio e dei senzavolto, degli ostili. I secondi trasgressori sono loro, dieci lebbrosi. Non dovrebbero abitare lì, dentro al villaggio: dovrebbero stare fuori, lontani, alla larga, per non contaminare, per non far ammalare, per non diffondere la malattia. Li riconosco: sono tutti quei senza volto e quei senza nome che poi riemergono di notte, dopo che la città ha smesso la sua frenesia. Lebbrosi, da evitare. Sono dieci, ci stanno tutti nelle dita delle mani, principio di comunità. La loro trasgressione è di camminare incontro al Signore. Si ribellano alla condanna definitiva: quella di non essere più toccati da nessuno, non più amati da nessuno, non più ascoltati da nessuno, quella di non essere più considerati da nessuno, neanche più da Dio. Il loro grido trasgressivo è immenso: «Signore, ripartoriscici!», «Kyrie, Eleison!», «Signore, donaci vita!». Trasgredisce di nuovo, per la terza volta, il mio Signore: li mette in cammino verso i sacerdoti, mentre sono ancora infetti, ammalati, lebbrosi. E solo riprendendo a camminare, sono purificati. E mentre si rialzano, sono guariti. E mentre camminano, di nuovo sono umani. È così nostro Signore: insofferente quando rimaniamo fermi, rannicchiati nei nostri dolori, nelle nostre vite stagne, senza prospettive. Insofferente verso le nostre tane: ci chiede di rimetterci in cammino, di alzarci, di ritornare a stare in piedi. La guarigione inizia non quando sono arrivato, ma dal primo passo che ho compiuto. È sempre il più difficile, ma è quello che ci salva: fare il primo passo. Un proverbio persiano recita: «Facendo il primo passo con un pensiero buono, il secondo con una buona parola, e il terzo con una buona azione, si entra in paradiso». Quarto ribelle lo incontro tra quei dieci, uno che non ha ascoltato il Signore: ritorna indietro a ringraziare. Tutti sono stati purificati, ma solo lui si è visto guarito, e torna a ringraziare. A fare Eucarestia con nostro Signore. Si sono guardati in volto, si sono visti e compresi per essersi guardati. Tutti vanno a Dio: chiedono, implorano, piangono, mendicano, pretendono, giudicano, ma uno solo torna a ringraziare. Ecco il segreto, ecco la ribellione più grande, ecco la bellezza: fare della nostra vita un ringraziamento, una vita eucaristica. Primo atto di fede, prima parola che lascia entrare Dio nelle nostre vite è questa parola madre: «Grazie!». Ci sembra tutto dovuto, è scontato che tutto ci sia dato, ma senza il grazie, la gratitudine, l'umanità muore, si ammala di indifferenza. Dovremmo praticare tutti quanti l'arte della gratitudine, saper ringraziare: non è solamente un gesto educato, è un ridare forma alla bellezza, è ri-bellare. Grazie tra le mura di casa, grazie nei nostri ambienti di lavoro, grazie con gli amici, grazie per un gesto di gratuità accordato, grazie nella preghiera. Ogni domenica ritorno a questa sorgente di gratitudine, diventa la Liturgia Eucaristica del ringraziamento più bella, più autentica. Ogni Eucarestia, ogni azione di grazie è una ribellione, ridona bellezza e dignità a questo mondo. Ogni Eucarestia mi guarda in volto e mi restituisce i miei lineamenti. E gli altri nove dove sono? Sì, può essere una frase di insofferenza, di delusione ai tanti mancati grazie che anche noi conosciamo, alle tante ingratitudini che abbiamo cicatrizzato nelle nostre vite, ma voglio ascoltare questa domanda con il suo cuore, quello del Buon Pastore. Che va in cerca dei perduti. Dove sono andati i miei fratelli e le mie sorelle che sono stati guariti, come me? Vorrei vivere anche con loro la liturgia della gratitudine. Tra i cinque, ne manca uno di ribelle: possiamo essere noi, possiamo ridare bellezza a questo mondo con una parola immensa, una parola madre: «Grazie!» |