| Omelia (12-10-2025) |
| don Giacomo Falco Brini |
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A cosa serve la salute? Il servizio gratuito a Dio, così come chiesto da Gesù nel vangelo di domenica scorsa, è indizio di fede autentica e di una relazione fiduciosa di amore. Il mondo della fede, che è il mondo dell'impossibile, si apre solo a chi si colloca davanti a Dio con questa postura spirituale. Diversamente, l'uomo può ricevere tanto nella sua vita, ma rischia di non accorgersi della bontà divina o addirittura di pensare di avere diritto a quello che si aspetta da essa. Forse il problema di nove tra i dieci lebbrosi era proprio questo. Ma guardiamo il testo con ordine. Gesù cammina verso Gerusalemme, attraversa la Samaria e la Galilea, e si imbatte in un piccolo gruppo di lebbrosi che si fermano correttamente a distanza (come prevedevano le disposizioni della Legge in Israele) per gridare al Signore: Gesù, maestro, abbi pietà di noi! Alla loro vista Gesù risponde subito a quella richiesta ordinando di presentarsi ai sacerdoti. Una risposta che bypassa l'ordine della Legge, perché i lebbrosi, per poter essere reintegrati nella comunità umana, dovevano essere prima sanati e solo successivamente recarsi dai sacerdoti che dovevano verificare l'avvenuta guarigione. Ma quegli uomini obbediscono e, ancora prima di giungere a destinazione, furono purificati. Principio di guarigione è obbedire a Gesù, cioè alla parola di Dio, come avvenne pure per Naaman il Siro (1a lettura) che pure tergiversava ad obbedire. Cosa dobbiamo pensare? Che solo uno si accorse di essere guarito? Evidentemente il racconto vuole comunicarci qualcosa di più profondo, perché il miracolo di una guarigione è già per sé una grande cosa, ma nel mondo della fede c'è qualcosa di più importante di un miracolo. Ed è proprio il centro del vangelo di oggi, così come ce lo presenta Luca. Non possiamo pensare che nove lebbrosi non si resero conto di essere stati esauditi nella propria preghiera. Solo uno però, ci dice il vangelo, tornò indietro lodando Dio a gran voce. Cioè solo uno riconduce a Gesù e alla sua parola l'origine della meraviglia di essere stato guarito e quindi lo vuole vedere, rientra, lo raggiunge e si prostra davanti a Lui. Soltanto uno sente il bisogno di ringraziarlo, di guardarlo negli occhi, di stabilire una relazione personale con Gesù. È come se silenziosamente il testo ci volesse rivelare, per contrasto, un'infermità spirituale presente negli altri nove peggiore della lebbra che prima li affliggeva. Pensare di essere con Dio perché si è in buona salute. Pensare di essere salvi perché si è riconquistata la salute. Pensare davvero che "la prima cosa è la salute". Pensare che ci possa essere qualcosa di più importante nella vita di rendere gloria al Signore con la propria vita. Pensare di essere entrati nel mondo della fede solo perché si è visto un miracolo o perché si appartiene "ufficialmente" al popolo della fede. Il testo ci rivela che nove su dieci uomini rendono vani i miracoli o le tante grazie che Dio dona per salvarci. Percentuale davvero scoraggiante. E sembra che generalmente questa realtà diventi più palese quando ci si presenti un estraneo, uno straniero, qui rappresentato dal samaritano, che si manifesta invece felice e grato per quello che ha ricevuto. Ancora una volta quest'anno, recandoci in missione, abbiamo portato doni in mezzo a gente che non ci potrà mai ricambiare. In mezzo a gente che nemmeno frequenta la chiesa. Eppure al ricevere quello che abbiamo potuto donare (che non era tanto), più volte li abbiamo uditi lodare e ringraziare Dio a gran voce per i benefici ricevuti. Una vera e propria lezione di fede da chi apparentemente la fede non la coltiva più di tanto. La parola finale di Gesù è dunque di capitale importanza: alzati e va, la tua fede ti ha salvato! Guariti in dieci, ma in salvo solo uno. La finalità del miracolo è raggiunta soltanto da uno di essi. Il che significa che nella vita si può ricevere un miracolo senza entrare nel mondo della fede e addirittura non salvarsi! Non inquieta un po'quanto ci dice il vangelo? E ricordate quel vangelo che dice molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità. Il vangelo abbonda di pagine inquietanti, ma benedetta l'inquietudine che ci genera per riavvicinarci alla salvezza. Riassumo in conclusione: salute non è sinonimo di salvezza. La salvezza non coincide necessariamente con la guarigione, anzi, è vero che per molti la malferma salute è stata occasione di conversione e conoscenza di Dio. Quello che converte davvero l'uomo non sono i miracoli, per quanto spettacolari, ma l'esperienza di sentirsi amati. Amore e fede vera si trovano spesso altrove. Il lebbroso samaritano ha capito cosa significava la sua guarigione, si è convertito (tornato indietro) e ha incontrato perciò Dio. E lo ha glorificato, perché la Gloria di Dio è manifestare il suo amore in questo mondo. |