| Omelia (12-10-2025) |
| don Roberto Seregni |
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Perché tutti siano salvi La scorsa settimana, con l'esempio del granello di senape, Gesù ci ha fatto scoprire che la fede non è questione di quantità, ma di qualità. Non basta moltiplicare le preghiere e le Messe: la mia fede non è la somma di ciò che faccio. Il Maestro ci invita a un cammino in profondità, un cammino costante alla ricerca dell'autenticità della nostra relazione con il Padre. Oggi la Parola ci invita a continuare questa riflessione. Al centro del brano evangelico ci sono dieci lebbrosi. Luca sottolinea che essi sono ligi alle prescrizioni della Scrittura (Levitico 13,46): si fermano a distanza e gridano per attirare l'attenzione del Maestro. Anche Gesù si mostra attento alla Legge (Levitico 14,2-4) e li invia dai sacerdoti, i quali avevano il compito di constatare la guarigione dei lebbrosi. Non bisogna essere esegeti esperti per accorgersi che in questo dialogo c'è qualcosa che non torna: Gesù invia i lebbrosi dai sacerdoti prima che siano guariti. Il Maestro li mette alla prova: è camminando, fidandosi della sua parola, che i dieci lebbrosi guariscono. Si abbandonano, si fidano, e la loro fiducia si trasforma in guarigione. Fino a questo punto tutto rispecchia uno schema abbastanza consueto: incontro, vocazione e guarigione. Ma Luca prepara un fuori programma: di quei dieci, solo uno torna a ringraziare Gesù. L'evangelista prima descrive la scena - l'ex lebbroso loda Dio e si prostra ai piedi del Maestro per ringraziarlo - e poi, con finezza, ne rivela l'identità: è un samaritano, uno straniero. Solo il samaritano, figlio di una terra contaminata dalle divinità pagane, è l'unico che torna a ringraziare. Tutti si sono fidati della parola del Maestro - non avevano nulla da perdere! - ma solo il samaritano riconosce e loda l'azione di Dio nelle parole del Nazareno. Tutti hanno avuto fiducia, tutti si sono aggrappati a una speranza, ma solo il samaritano ha compiuto il passo della fede. Tutti sono stati guariti, ma solo il samaritano è stato salvato. A questo punto, vorrei fare due brevi sottolineature. Primo. Il samaritano si distingue dagli altri lebbrosi per la sua gratitudine. Allora possiamo chiederci: io so ringraziare? Nella mia preghiera so solo chiedere, supplicare e implorare, oppure so anche ringraziare? Proviamo a leggere il Salmo 136 e a "completarlo" con la nostra vita e la nostra gratitudine... Secondo. È importante sottolineare che Gesù non ritratta la guarigione concessa ai nove lebbrosi ingrati: non si rimangia la parola. Questa è la buona notizia, questo è il Vangelo: Dio è all'opera nella tenerezza smisurata, gratuita e appassionata di Gesù. Non c'è nulla che possa fargli cambiare idea. La nostra dimenticanza, ingratitudine e superficialità non possono minimamente scalfire la sua misericordia per l'umanità ferita. Andiamo a cercare gli altri nove perduti. Prendiamoli per mano e accompagniamoli con tenerezza e pazienza alla presenza del Signore. Perché tutti siano salvi. don Roberto Seregni |