| Omelia (29-10-2025) | 
| Missionari della Via | 
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                         La salvezza è una questione seria per l'essere umano. Non è soltanto una promessa futura ma una realtà che tocca il nostro presente. È una parola che abbraccia tutta la vita, che parla al cuore di ogni giorno. Tutti abbiamo bisogno di sapere che c'è salvezza per noi, che non siamo soli, che già ora esiste un abbraccio che ci accoglie e ci custodisce. Vivere come pellegrini vuol dire portare nel mondo un abbraccio di salvezza che viene da Dio e che comporta per noi il confronto con una porta stretta. Sì, la salvezza è un dono ma anche un impegno, perciò abbiamo bisogno dell'umiltà, accettando Dio come Signore e smettendola di sentirci il Dio di noi stessi e degli altri. Chi viaggia con una misura troppo grande di sé, non può pensare neanche di varcare una porta stretta. Paradossalmente quelli che "si montano la testa" sono quelli rimasti fuori, che non hanno mai lottato per vivere cristianamente, ma credono di essere amici di Dio; perciò, bussano alla porta una volta rimasti fuori. Stiamo parlando di gente che si ritiene conosciuta da Dio, che partecipa al culto, frequenta i luoghi di Dio, ma non è presente in Dio. È come quelle persone che prima di fare qualcosa sono presentate con un lungo curriculum che attesti la loro importanza, ma poi non convincono per nulla nella sostanza. Quindi, nonostante la lunga lettura, nessuno si ricorderà di chi sono, anche se hanno incontrato il Papa o sono stati premiati dal Presidente della Repubblica. Ancor di più, in Dio conta la sostanza! Propongo una riflessione che nasce dall'incontro con il messaggio evangelico: ciascuno è chiamato a interrogarsi con sincerità. Sono forse una persona che si definisce credente, che partecipa ai riti, che recita preghiere ma che nel quotidiano vive in contrasto con ciò che Cristo insegna? Vado in chiesa per allontanare da me disgrazie, perché occupo il mio tempo o perché voglio seguire l'esempio del Signore? Cerco, con umiltà e perseveranza, di lasciarmi trasformare dalla preghiera, dalla Parola e dall'Eucaristia, come chi mendica forza e luce per vivere con coerenza, invocando ogni giorno la misericordia divina? Le parole di Gesù non lasciano spazio all'autocompiacimento: ci invitano a un cambiamento autentico, a riconoscere le nostre fragilità e a non illuderci che basti appartenere a una tradizione religiosa o compiere gesti esteriori con fervore. E così, chi sembrava essere "in testa" può ritrovarsi "in coda", mentre chi ha vissuto con sincerità e desiderio di entrare nel Regno, passando per la soglia che è Cristo stesso (cf Gv 10,7.9), scopre che quella porta è sempre aperta: una porta di grazia, di misericordia, che accoglie ma non è priva di costo (cf Eb 3,13). «L'uomo coerente rifugge la divisione, la doppiezza e l'ipocrisia e tenta di dare prosecuzione pratica alle sue parole, ai valori che professa, alla fede che lo ispira. Virtù rara, la coerenza non ha nulla a che vedere con un rigido attaccamento a idee decise una volta per tutte e con l'indisponibilità al cambiamento, ma è fondamentale per la credibilità della persona, soprattutto se ha funzioni pubbliche o è rivestita di autorità, nella Chiesa come nella società. L'incoerenza, la schizofrenia tra valori professati e pratica esistenziale, il trovare un paradossale equilibrio fondando la propria attività pubblica, magari anche molto ben condotta, nella Chiesa e nello spazio politico, su comportamenti privati non solo inappropriati, ma perfino criminosi, è un fattore non secondario della crisi morale e di autorità che constatiamo oggi. Al contrario, la coerenza rientra in quell'integrità che si oppone alla corruzione, al cuore rotto e diviso, e che rende partecipi della beatitudine rivolta ai puri di cuore (Mt 5,8)» (Luciano Manicardi).  |