Omelia (22-10-2025)
Missionari della Via


Gesù usa immagini forti riguardo alla nostra vita, e questo ci fa paura! È come se ci dicesse: "sappiate che dovete morire, prima o poi!". È comprensibile che questa prospettiva ci spaventi. Come Pietro, anche noi vorremmo sapere: "Ma parli per noi o per gli altri?", quasi a cercare una via d'uscita, una corsia preferenziale, un'esenzione dall'attraversare certe possibili sofferenze. Gesù, per sé, non ha evitato la morte, né il turbamento che essa provoca. Pur avendo il potere di ridare vita, come accadde con la figlia di Giairo, con il figlio della vedova di Nain e l'amico Lazzaro, non si è mostrato indifferente davanti alla sofferenza. Al contrario, Gesù si commuove, piange, si lascia toccare dal dolore altrui. E quando si avvicina alla propria morte, la sua anima è scossa: prova paura, si sente oppresso, sperimenta la solitudine e il peso del distacco. Allora il Vangelo di oggi è un invito a valorizzare la nostra vita, a prenderla sul serio: non possiamo pensare che quello che scegliamo sia neutro. Se oggi decido di non far pace con le persone con cui ho litigato, questo cambia la mia condizione e quella degli altri; se oggi decido di dire una bugia incido sulla realtà con un'opera malvagia. La nostra vita non è mai neutrale! Questo non ci deve far incorrere in una fede fondata sulla paura o vissuta in modo moralistico e opprimente (purtroppo molto comune e apparentemente efficace), ma deve aiutarci a vivere una fede che sappia di bellezza. Se mi è stato affidato qualcosa, la vita, il creato, persone che ho accanto, un ruolo nella società, posso decidere di essere una persona libera e liberante che porta luce, pace, serenità. Posso vivere con la consapevolezza che la vita non è eterna ma è preziosa, un tempo benedetto per amare.

«Nel corso della mia vita mi sono spesso interrogata su quale tipo di fede io annunci con la mia vita, con i miei gesti, con le mie parole all'interno della comunità e questo perché vengo da una storia biografica sofferta. Ho fatto l'esperienza dell'incontro con Gesù all'età di tredici anni circa quando abitavo una realtà familiare molto difficile e nel momento in cui è arrivata la fede, questa anziché slegarmi mi ha legata. Da una parte è stata un'esperienza forte emotivamente: ho incontrato Gesù e mi sono innamorata di Lui, delle sue parole, dei suoi gesti, ma dall'altra parte è stata una fede che mi ha insegnato la sottomissione e il silenzio: bisogna amare i genitori, ubbidire, sottomettersi; amare i nemici e sempre dare l'altra guancia... Allora: una ragazzina di tredici anni ha accettato cose che non avrebbe accettato in un contesto normale se non fosse intervenuta una fede a legarla, a sottometterla, a non farla sentire come una palla che qualsiasi persona poteva prendere a calci ma farla sentire come una perla preziosa, da custodire. Ecco: proprio perché io vengo da quella esperienza che mi ha aperto gli occhi, capisco che c'è il bisogno di discernere quale tipo di fede noi annunciamo, perché c'è una fede che lega ed una che slega» (Lidia Maggi).