| Omelia (05-10-2025) |
| padre Ermes Ronchi |
|
Negli invisibili, l'Eterno. Nessuno ha il diritto di ridurre a nulla l'altro. Il sangue del male, la linfa oscura è l'indifferenza, il lasciare intatto l'abisso fra le persone. C'era una volta un ricco... e un povero alla sua porta: inizio da favola antica. Il ricco è senza nome, il povero ha il nome dell'amico di Gesù, Lazzaro. Uno è vestito di piaghe, l'altro di porpora. Uno è sul tetto del mondo, l'altro è in fondo alla scala. I due protagonisti si incrociano ma non si incontrano, tra loro c'è un abisso. È questo il mondo sognato da Dio per i suoi figli? Un Dio che non è mai nominato nella parabola, eppure è lì. Non abita i riflessi della porpora ma le piaghe di un povero; non c'è posto per lui dentro il palazzo. Forse il ricco è perfino un devoto, osserva i dieci comandamenti, e prega: "o Dio tendi l'orecchio alla mia supplica", mentre è sordo al lamento del povero. Lo scavalca ogni giorno come si fa con una pozzanghera. Di fermarsi, di toccarlo neppure l'idea: il povero Lazzaro è invisibile, nient'altro che un'ombra fra i cani. Attenzione agli invisibili attorno a noi, vi si rifugia l'Eterno. "Tra noi e voi è posto un grande abisso", in terra come in cielo, dice Abramo. Il ricco poteva colmare il baratro che lo separava dal povero, e invece l'ha ratificato e reso eterno. Che cosa scava grandi fossati tra noi, o innalza muri e ci separa? Il ricco non ha fatto del male al povero, non lo ha aggredito o scacciato. Fa qualcosa di peggio: non lo fa esistere, lo riduce a un rifiuto, uno scarto, un nulla. Semplicemente Lazzaro non c'era, invisibile ai suoi pensieri. E lo uccideva ogni volta che lo scavalcava. Nessuno ha il diritto di ridurre a nulla l'altro. Il sangue del male, la linfa oscura è l'indifferenza, il lasciare intatto l'abisso fra le persone. Invece «il primo miracolo è accorgersi che l'altro esiste» (S. Weil), e provare a colmare l'abisso di ingiustizia che ci separa. Nella seconda parte della parabola la scena si sposta dal tempo all'eternità. Morì il povero e fu portato nel seno di Abramo, morì il ricco e fu sepolto negli inferi. L'eternità inizia quaggiù, sarà la lenta maturazione delle nostre scelte senza cuore. Mente l'inferno è, in fondo, la dichiarazione che è possibile fallire la vita. Perché il ricco è condannato? Per la ricchezza, i bei vestiti, la buona tavola? No, Dio non è moralista; a Dio stanno a cuore i suoi figli. Il peccato del ricco è l'abisso con Lazzaro, neppure un gesto, una briciola, una parola. Tre verbi sono assenti nella storia del ricco: vedere, fermarsi, toccare. Mancano, e tra le persone si scavano abissi, si innalzano muri. Questo è il comportamento che san Giovanni chiama, senza giri di parole, omicidio: chi non ama è omicida (1 Gv 3,15). Ma "figlio" è chiamato anche lui, nonostante l'inferno, anche lui figlio per sempre di un Abramo dalla dolcezza di madre: "Padre, una goccia d'acqua! Una parola sola per i miei cinque fratelli!" E invece no, perché non è la morte che converte, ma la vita. «Se stai pregando e un povero ha bisogno di te, lascia la preghiera e vai da lui. Il Dio che trovi è più sicuro del Dio che lasci (san Vincenzo de Paoli)». |