| Omelia (06-10-2025) |
| Missionari della Via |
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La parabola del buon samaritano è l'immagine per eccellenza di come l'uomo realizzi se stesso solo amando. La vita eterna posso viverla già ora nell'amore! Il mondo è spesso dimora di ambizioni, di ruoli da rispettare e talvolta, purtroppo, da recitare. Eppure, le cose più belle e vere che viviamo accadono quando scegliamo di accompagnare, non di superare gli altri, di condividere e non di conquistare. L'amore ci insegna che non è importante vincere e prevaricare ma costruire un legame autentico con l'altro, e tutto ciò supera ogni conquista. Anzi, è questa la vera vittoria. Quante volte perdiamo anche relazioni significative perché l'interesse, le questioni di principio, il nostro pensiero, i nostri affari, vengono prima dell'altro. Dio ci invita a non essere dei solitari scalatori di vette per la gloria, ma fratelli; ci insegna l'arte di far vincere i legami. È scandaloso quando anche negli ambienti dove Dio dovrebbe essere al centro, il guadagno personale emerge a discapito della relazione. Tutti possiamo essere l'uomo che guarda avanti e si preoccupa solo di se stesso! Si possono fare degli esempi pratici: il fatto che svolgiamo un servizio da tanti anni in chiesa o che abbiamo un ruolo nella comunità cristiana, fosse anche annaffiare le piante, fare il portinaio, il catechista o qualsiasi altra cosa, può farci sentire in una posizione di privilegio, come se avessimo persino un primato sulle cose di Dio, al punto che fare spazio all'altro viene percepito come una svalutazione della propria opera. Saresti disposto a rinunciare al tuo servizio per farlo fare ad un altro? Saresti disposto a collaborare senza appropriarti di nulla? La verità è che spesso ci sentiamo importunati da chi si presenta sul nostro cammino. Così si rivela che al centro non c'è Dio ma il nostro io, quell'io che si erge a protagonista di alcune opere che svolgiamo anche in nome di Dio! Così accade che il bisogno dell'altro di essere accolto, ascoltato e valorizzato ci mette a disagio, diventando un ostacolo alla nostra tranquillità interiore. Invece di lasciarci interpellare, preferiamo alzare muri, relegare ai margini chi invade il nostro spazio, e riversare sull'altro le nostre frustrazioni, trasformandolo nel bersaglio, nel mal capitato del Vangelo. Chi è dunque il prossimo? Sono io ogni volta che l'egoismo non prende il sopravvento, ogni volta che le regole, le posizioni sociali, la fretta, la prudenza, non hanno il primato sull'amore. Una volta che impariamo l'arte di farci prossimi, di avere compassione, sapremo prenderci veramente cura dell'umanità, farci vicini, sporcarci le mani, abbattere le distanze, ad immagine di Dio che si è fatto vicinissimo a noi. «Questo samaritano si ferma semplicemente perché è un uomo davanti a un altro uomo che ha bisogno di aiuto. La compassione si esprime attraverso gesti concreti» (papa Leone XIV). Il santo del giorno: san Bruno «Il monaco, lasciando tutto, per così dire "rischia": si espone alla solitudine e al silenzio per non vivere di altro che dell'essenziale, e proprio nel vivere dell'essenziale trova anche una profonda comunione con i fratelli, con ogni uomo. Qualcuno potrebbe pensare che sia sufficiente venire qui per fare questo "salto". Ma non è così. Questa vocazione, come ogni vocazione, trova risposta in un cammino, nella ricerca di tutta una vita. Non basta infatti ritirarsi in un luogo come questo per imparare a stare alla presenza di Dio. Come nel matrimonio non basta celebrare il Sacramento per diventare effettivamente una cosa sola, ma occorre lasciare che la grazia di Dio agisca e percorrere insieme la quotidianità della vita coniugale, così il diventare monaci richiede tempo, esercizio, pazienza, "in una perseverante vigilanza divina - come affermava san Bruno - attendendo il ritorno del Signore per aprirgli immediatamente la porta" (Lettera a Rodolfo, 4); e proprio in questo consiste la bellezza di ogni vocazione nella Chiesa: dare tempo a Dio di operare con il suo Spirito e alla propria umanità di formarsi, di crescere secondo la misura della maturità di Cristo, in quel particolare stato di vita. In Cristo c'è il tutto, la pienezza; noi abbiamo bisogno di tempo per fare nostra una delle dimensioni del suo mistero. Potremmo dire che questo è un cammino di trasformazione in cui si attua e si manifesta il mistero della risurrezione di Cristo in noi, [...] A volte, agli occhi del mondo, sembra impossibile rimanere per tutta la vita in un monastero, ma in realtà tutta una vita è appena sufficiente per entrare in questa unione con Dio, in quella Realtà essenziale e profonda che è Gesù Cristo» (Benedetto XVI, Celebrazione dei vespri e omelia, Certosa di Serra san Bruno, 09 ottobre 2011). |