| Omelia (01-10-2025) |
| Missionari della Via |
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Gesù misura i nostri grandi desideri con la realtà, perciò ci chiede di andare in profondità, interrogare il nostro cuore, di non iniziare qualcosa di buono per poi tornare indietro. Può sembrare paradossale ma se il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo, anche il discepolo è chiamato a vivere così: una disponibilità radicale, una libertà che implica il lasciarsi alle spalle anche il passato. Eppure, l'immagine comune di un uomo spirituale è quella della stabilità, di una persona "sistemata", tanto che si riconosce nell'istituzionalità della Chiesa o di un ordine religioso una certa tranquillità e sicurezza. Gesù, in questo insegnamento di oggi, ribalta le nostre prospettive. Ci parla di distacco, del non avere sicurezze, di non attaccarsi possessivamente alle cose materiali, ai ruoli o alle relazioni, ma vivere ogni legame e ogni realtà con lo sguardo rivolto al Regno di Dio. Non si tratta di rinunciare agli affetti ma di trasformarli in qualcosa di più grande, affinché ogni relazione (familiare, amicale, sociale) e ogni servizio che svolgiamo possa rispecchiare la bellezza e l'armonia del progetto divino, e possa annunciare al mondo che c'è di più, esiste un'eternità. Gesù, insomma, chiede un cammino di libertà che ci porta a vivere senza essere prigionieri del passato o delle sicurezze apparenti. Da dove iniziare per imparare questa radicalità? Spesso, immaginiamo di essere capaci di grandi imprese, ma poi fatichiamo nelle piccole cose: alzarsi presto, pregare con costanza, studiare con serietà, rinunciare alle comodità. Abbiamo difficoltà ad esercitarci nelle piccole cose, a essere fedeli nella quotidianità! Perciò quando il Signore ci chiede di vivere una certa radicalità dell'amore, si rivelano le nostre fragilità e spesso assumiamo la postura della vergogna, perché nel cuore coltiviamo mediocrità, preferiamo una zona grigia ma comune a molti. Chi sarebbe disposto a sacrificare la propria carriera e a mettersi contro gente potente per difendere un uomo incappato in un'ingiustizia? Chi, come Madre Teresa, lascerebbe la propria famiglia per servire i più bisognosi, rinunciando per sempre a rivedere i propri cari? Solo chi vive la fedeltà a un amore esigente può abbracciare la radicalità come scelta di vita, vivendo la sequela nel quotidiano, come offerta di tutto se stesso! Se nell'Antico Testamento Elia ed Eliseo dovevano congedarsi dai genitori, Gesù va oltre: ci chiede un rapporto sano non solo con gli affetti ma anche con ciò che ci ha preceduto. Ci invita a purificarci dalla nostalgia, a non lasciarci imprigionare dal passato. Ogni vocazione porta con sé questa sfida: una coppia sposata può sentire il richiamo rassicurante della casa paterna, un consacrato può ritrovarsi a fare i conti con ciò che ha lasciato, con il rimpianto di progetti interrotti. Seguire il Signore non è qualcosa da rimandare dopo aver sistemato ogni cosa ma un atto di fiducia che ci chiede di mostrare dove poggia la nostra esistenza e che genera nuove cose. Non è raro trovare persone che vivono il presente rimpiangendo il passato, tristi per non aver concluso gli studi, per aver perso un'occasione, oppure immerse nei sogni di amori grandiosi e di gloria futura, proiettate in un domani che sembra promettere più di quanto il presente offra. Eppure, anche il desiderio di ciò che verrà, se non fa i conti con la scelta di Dio, può trasformarsi in una trappola: le vite restano sospese, si è incapaci di prendere decisioni concrete, di radicalizzare scelte che potrebbero dare forma alla propria esistenza. Santa Teresina di Gesù Bambino: la piccola via «Ho sempre desiderato essere una santa, ma ahimè, ho sempre accertato, quando mi sono paragonata ai santi, che tra essi e me c'è la stessa differenza che tra una montagna la cui vetta si perde nei cieli, e il granello di sabbia oscura calpestata sotto i piedi dei passanti. Invece di scoraggiarmi, mi sono detta: il buon Dio non può ispirare desideri inattuabili, perciò posso, nonostante la mia piccolezza, aspirare alla santità; diventare più grande mi è impossibile, debbo sopportarmi tale quale sono con tutte le mie imperfezioni, nondimeno voglio cercare il mezzo di andare in Cielo per una via ben diritta, molto breve, una piccola via tutta nuova. Siamo in un secolo d'invenzioni, non vale più la pena di salire gli scalini, nelle case dei ricchi un ascensore li sostituisce vantaggiosamente. Vorrei anch'io trovare un ascensore per innalzarmi fino a Gesù, perché sono troppo piccola per salire la dura scala della perfezione. Allora ho cercato nei libri santi l'indicazione dell'ascensore, oggetto del mio desiderio, e ho letto queste parole pronunciate dalla Sapienza eterna: «Se qualcuno è piccolissimo, venga a me». Allora sono venuta, pensando di aver trovato quello che cercavo, e per sapere, o mio Dio, quello che voi fareste al piccolissimo che rispondesse al vostro appello, ho continuato le mie ricerche, ed ecco ciò che ho trovato: «Come una madre carezza il suo bimbo, così vi consolerò, vi porterò sul mio cuore, e vi terrò sulle mie ginocchia!». Ah, mai parole più tenere, più armoniose hanno allietato l'anima mia, l'ascensore che deve innalzarmi fino al Cielo sono le vostre braccia, Gesù! Per questo non ho bisogno di crescere, al contrario bisogna che resti piccola, che lo divenga sempre più» (Dal Manoscritto C, n. 271). |