Omelia (28-09-2025)
Agenzia SIR
Come prepararsi, senza timore, alla vita eterna

La Liturgia della Parola della XXVI domenica del Tempo ordinario presenta una tra le parabole più note del vangelo di Luca, con protagonisti un ricco senza nome e il povero Lazzaro. Il racconto non intende spiegare nei dettagli il giudizio dopo la morte, ma incentivare nel tempo presente quelle scelte di solidarietà verso i poveri che oggi ci fanno crescere in umanità e domani ci procureranno la consolazione eterna. La condivisione dei beni, come lotta alla povertà, che l'evangelista ha posto a tema dell'intero capitolo 16, assume non solo una coloritura sociale, ma anche religiosa, in quanto determina il nostro destino futuro.

La parabola di Gesù porta in scena due personaggi, i quali vivono l'uno accanto all'altro, ma senza entrare in relazione l'uno con l'altro. Il primo è un uomo ricco, che ama godersi la vita e i suoi beni, senza preoccuparsi di altro né curarsi degli altri. Due tratti descrivono il suo modo di vivere nell'opulenza: vesti costose e cibo raffinato. È un uomo che, pur abbondando in beni, è privo di un nome, quasi a voler significare che la ricchezza fa perdere in umanità. Al contrario, il secondo personaggio, un povero come tanti che incontriamo lungo le nostre vie, ha un solo bene: il nome proprio, Lazzaro, che significa: "Dio aiuta". È sì un miserabile, ma nel suo nome è riposto un germe di speranza, la memoria di un Dio che è provvidenza ed è prossimo ai poveri.

Un medesimo evento ribalta la sorte di entrambi: la morte! Dal tempo storico, si passa all'eternità di Dio: il povero è portato dagli angeli accanto ad Abramo e riceve consolazione; il ricco, invece, sepolto nella terra, viene a trovarsi in una condizione di tormento e di solitudine: nessuno lo accoglie nella vita dopo la morte. Si realizza quanto Gesù aveva predicato: "Beati voi, poveri, perché vostro è il Regno di Dio... Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione" (Lc 6, 20.24).

La parabola sollecita una domanda: Perché il ricco merita la condanna? La risposta va cercata tra le pieghe del racconto: "Tu hai ricevuto i tuoi beni", ribadisce Abramo al ricco, ma non hai saputo trasformarli in mezzi di soccorso, possiamo aggiungere, sulla linea degli insegnamenti relativi alla vera ricchezza riportati in precedenza da san Luca. Pur stando ogni giorno Lazzaro seduto davanti alla porta di casa, il ricco non ha mai rivolto la sua attenzione su di lui. Quel minimo di sollievo che ora pretende nell'al di là, gli è negato secondo giustizia, per il fatto di non essere stato capace di assicurarlo, lui per primo, al povero Lazzaro durante la vita. Il giudizio di condanna è determinato dall'indifferenza verso un'umanità bisognosa e sofferente. Si potrebbe obiettare: Lazzaro non ha chiesto nulla al ricco; ma è la sua stessa presenza una sollecitazione ad agire, indirizzata alla coscienza di quanti possiedono beni. L'esortazione di Gesù interroga il nostro cuore: Prestiamo attenzione ai bisognosi oppure stiamo scavando già ora quel "grande abisso" che separerà in futuro le anime, per aver nutrito indifferenza, se non ostilità ed ipocrisia, verso le miserie dei fratelli? Sant'Agostino raccomanda ai suoi fedeli: "Dona a Cristo [povero] qui in terra, per ricevere da lui il ricambio in cielo" (serm. 367, 3).

Il ricco ha un'ultima richiesta per Abramo: mandare Lazzaro nella casa paterna ad ammonire i suoi fratelli, perché si convertano e non corrano il rischio di subire una medesima condanna per l'eternità. La risposta di Abramo è perentoria: per vivere rettamente non servono segni prodigiosi o miracoli, ma è sufficiente una fede semplice, che ci invita ad ascoltare e mettere in pratica gli insegnamenti della sacra Scrittura. Una comprensione amorevole della Parola divina e il soccorso ai poveri definiscono il nostro presente e preparano l'eternità in Dio.


Commento di Padre Pasquale Cormio, rettore della Basilica di Sant'Agostino in Campo Marzio e priore della Comunità agostiniana a Roma