Omelia (21-09-2025)
don Alberto Brignoli
O con Dio o con il denaro

Non è affatto piacevole sentire il Signore Gesù che nel Vangelo ci invita a farci degli amici attraverso la ricchezza disonesta... così come non è bello sentirlo lodare l'amministratore disonesto della parabola per aver ripetutamente frodato il proprio padrone! Se anche Dio si mette a prendere le difese di chi si comporta in maniera disonesta nell'uso del denaro, tanto vale essere disonesti e cercare di approfittare sempre di più di ciò che i beni materiali ci offrono, magari anche attraverso metodi non del tutto leciti! Alla faccia del profeta Amos che, nella prima lettura, eleva in nome di Dio un grido di denuncia contro coloro che vendevano addirittura lo scarto del grano per "comprare un povero al prezzo di un paio di sandali", cioè per comprarsi uno schiavo pagandolo meno di una calzatura! Che Dio è quello di Gesù, che prende le difese dei disonesti?
Tranquillizziamoci: lungi dall'insegnamento del Maestro - e ancora meno dal pensiero dell'evangelista Luca - difendere la ricchezza e la disonestà ad essa collegata. Anche perché l'ultima frase del Vangelo letto oggi non lascia spazio a dubbi: "Non potete servire Dio e la ricchezza", ovvero Dio e la ricchezza sono assolutamente incompatibili tra di loro. Quindi, ciò che ci viene insegnato attraverso il Vangelo di oggi va compreso e capito bene, anche se non senza fatica.
La parabola di oggi va letta nel contesto del Vangelo in cui è collocata. Infatti, la parabola che la segue (e che leggeremo domenica prossima) è la parabola del povero Lazzaro e del ricco epulone; mentre il capitolo che la precede è il famoso capitolo 15 del Vangelo di Luca, quello dedicato quasi interamente alla vicenda del figliol prodigo.
Iniziamo dal capitolo della parabola di oggi. Si tratta capitolo 16, nel quale Luca presenta due atteggiamenti opposti: da una parte, c'è chi - come l'amministratore scaltro e disonesto, lodato dal padrone - spende i beni materiali a favore degli altri, pensando al suo futuro; dall'altra c'è chi - come il ricco epulone nei confronti di Lazzaro - li spende invece pensando soltanto al proprio ventre, lasciando gli altri a morire ai margini della vita. Le ricchezze, quindi, non sono di per sé un male: è il loro uso, è l'atteggiamento che si assume nei loro confronti che costituisce un fatto moralmente rilevante e decisivo. Esse sono di sostentamento all'uomo nel suo cammino di ogni giorno verso l'eternità. Ed è proprio per questo che il credente deve rivedere il proprio atteggiamento verso i beni terreni, alla luce della sua meta finale.
Il nostro "aldilà" dipende unicamente ed esclusivamente dal nostro "aldiqua", da come abbiamo giocato la nostra partita qui sulla terra, poiché nell'aldilà saremo in maniera definitiva ciò che noi siamo stati durante questo nostro cammino terreno. La parabola di oggi rimane quasi tronca: com'è andata a finire? Sappiamo solo di un amministratore che ha a che fare con i debitori del suo padrone, cercando di volgere a suo favore questo debito. Luca ha voluto lasciarci di proposito con questa immagine: quella di uno che si sta dando da fare per togliersi dai guai e assicurarsi il futuro, uno che si sta impegnando nel suo oggi pensando al suo domani. L'evangelista, in fondo, ci vuole far comprendere che nell'ottica di ottenere la salvezza dobbiamo agire con scaltrezza, ovvero dobbiamo sfruttare abilmente ogni opportunità per essere accolti nella casa del Padre. Ed è qui che entra in campo il capitolo precedente, con la parabola del figliol prodigo.
L'amministratore è accusato di "sperperare gli averi" del suo padrone: la stessa espressione che Luca usa per il figliol prodigo, e che lascia intendere che chi ha tradito la fiducia del padre-padrone non può più avere una seconda chance. E allora, l'amministratore fa lo stesso che fa il figliol prodigo, "rientra in se stesso" e parla a se stesso. Anch'egli come il figlio minore prende coscienza di ciò che egli è ("zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno"), e fa scattare la soluzione ("so io che cosa farò"), proprio come il figliol prodigo che decide di tornare dal padre. In questa sua decisione egli trova la propria salvezza: ed è proprio ciò a cui ci invita l'evangelista, perché ognuno di noi, di fronte al bene della salvezza, non lo disperda nel disimpegno di una vita superficiale, ma cerchi, nel gestire i beni materiali, il proprio interesse spirituale e organizzi la propria vita in funzione di questo. Anche rivolgendosi ai debitori, pur sapendo di aver sbagliato nei suoi confronti, l'amministratore parla del padrone come del "mio" padrone, così come per il figliol prodigo il padre rimane "mio" padre: entrambi, in fondo, sentono ancora Dio come qualcosa di "loro", qualcuno a cui sono profondamente legati.
E così, nell'ultimo disperato gesto per cercare di assicurarsi un futuro, l'amministratore disonesto fa qualcosa che gli merita l'elogio del suo padrone: non cerca di appropriarsi dei suoi beni, ma li dà agli altri, nella speranza di trasformare i debitori del suo padrone in debitori verso se stesso. Il messaggio è chiaro: solo donando i beni materiali a chi è nel bisogno si ottiene un vantaggio per se stessi; solo una gestione della ricchezza pensata per gli altri arricchisce veramente se stessi. Cosa che non avverrà con il ricco epulone.
La buona gestione delle cose materiali, spese a favore degli altri, costituisce un pegno per accedere alla vita eterna; perché, se siamo capaci di gestire in maniera equa e a favore degli altri i beni terreni ("le cose di poco conto"), saremo capaci di fare altrettanto con le realtà del cielo ("le cose importanti"). Questo ci dice che credere in Gesù e nel suo messaggio di salvezza è qualcosa di molto impegnativo ed esigente. Non si può rimanere con il piede in due scarpe, soprattutto di fronte alla ricchezza, perché rimanere indifferenti o schierarsi in maniera alterna, una volta da una parte (con Dio) e una volta dall'altra (con le ricchezze) inevitabilmente ci schiera contro Dio.
Siamo chiamati, pertanto, a compiere la nostra scelta in modo radicale e senza tentennamenti: o le ricchezze tenute per sé e venerate come un Dio, o le ricchezze condivise e usate per raggiungere Dio. Di alternative, su questo tema, ne rimangono davvero poche: e il ricco epulone - lo vedremo domenica - ne sa qualcosa...