Omelia (21-09-2025)
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COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura di Lucia Piemontese

Oggi il Vangelo ci dà modo di riflettere sulla ricchezza attraverso la parabola dell'amministratore disonesto che, paradossalmente, alla fine del racconto viene lodato.
Un tale non amministra onestamente i beni del padrone, viene scoperto ed è costretto a lasciare l'incarico. Come potrà sopravvivere? Si assicura un futuro riducendo quanto i debitori devono al padrone e così, per gratitudine, lo accoglieranno in casa e gli daranno sostegno.
Inaspettatamente il padrone (immagine di Dio) loda l'amministratore per l'astuzia intelligente, la capacità di trovare una via d'uscita. Certo, l'agire di quell'uomo resta disonesto, ma lo sguardo del padrone coglie una cosa positiva: la "scaltrezza". Questa, che nel nostro uso ha un senso soprattutto negativo, nella lingua greca rimanda all'accortezza, alla sapiente prudenza nell'agire, alla capacità di trasformare le situazioni. Dunque, si può essere "scaltri" nel male o nel bene. L'importante nella parabola è proprio la trasformazione che avviene: l'amministratore corrotto stavolta non prende per sé, ma agisce a beneficio degli altri; questo cambierà la storia quelli che aiuta e di conseguenza la sua.
Gesù, con il commento un po' dispiaciuto sui figli della luce meno scaltri della gente del mondo, esprime forse il desiderio di vedere nei suoi discepoli la scaltrezza buona, capace di trasformare positivamente le situazioni.
Dalla parabola il Signore prende lo spunto per una serie di insegnamenti. Il primo è "fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne".
La ricchezza disonesta deve essere cambiata di segno, deve essere "con-vertita" in solidarietà, in condivisione; con essa si devono attivare amicizie, buone relazioni che danno vita: nelle "dimore eterne" ci accoglieranno, infatti, i bisognosi e i deboli che avremo aiutato. È insegnamento costante del Vangelo che accumulare beni in questo mondo non serve per la vita eterna; occorrono invece fraternità e carità.
Il secondo insegnamento riguarda la fedeltà, intesa come opposto della disonestà. Siamo anche noi amministratori di beni che ci sono dati e l'essere fedeli nel poco, cioè nelle semplici e piccole cose quotidiane, è la misura che il Vangelo ci chiede. La fedeltà è l'atteggiamento di chi dà valore a ciò che gli è stato consegnato, è un segno d'amore e un rimanere nell'amore, ci fa assomigliare a Dio.
Le parole sulla ricchezza disonesta e quella vera, sulla ricchezza altrui e quella propria sono un po' difficili. Come intenderle? Sono aspetti diversi. Se le ricchezze materiali in sé non sono né bene né male, lo diventano a seconda di come di come le viviamo.
La ricchezza disonesta sta palesemente nei beni ricavati con frode, come anche nelle posizioni sociali raggiunte con imbrogli o in qualunque cosa ottenuta con inganno. L'espressione letterale greca, il mammona di ingiustizia (espressione semitica per indicare il denaro), rimanda anche al fatto che il denaro ha in sé come una radice di ingiustizia, perché spinge all'egoismo, ai desideri sbagliati, al possesso idolatrico fino a generare morte; e questo lo abbiamo sotto gli occhi, viviamo in un mondo fortemente segnato dalle disuguaglianze.
Ma anche i beni conseguiti onestamente diventano una disonesta ricchezza se siamo avari, se vi riponiamo tutta la nostra fiducia e sicurezza, chiusi alla compassione e alla condivisione.
Inoltre la ricchezza è sempre da considerarsi come "altrui", anche quando è onesto frutto del nostro lavoro o eredità, perché nel progetto di Dio i beni hanno una destinazione universale, per giustizia sono da considerarsi di tutti. La ricchezza è "altrui" anche nel senso che è una realtà transitoria e la nostra vita non dipende da essa.
Essere fedeli nella ricchezza disonesta e altrui, cioè usare i beni in condivisione, ci permetterà di ricevere la ricchezza "vera e nostra" e questo ci immette nell'orizzonte del Regno dei Cieli. La ricchezza vera è quella trasformata dalla carità su questa terra; e poiché ogni atto di fraternità ha un valore eterno, lo ritroveremo come tesoro messo da parte presso Dio, come comunione con Lui. Questa è la ricchezza che Dio ha condiviso per mezzo di Cristo e vuole condividere in eterno con noi.
Il Vangelo si chiude con una dichiarazione perentoria: Non potete servire Dio e la ricchezza. C'è un'opposizione irriducibile: o Dio o il denaro idolatrato, o il Dio vero e l'idolo falso e ingannevole. Dio ci vuole liberi mentre il mammona di ingiustizia è un padrone spietato che ci rende schiavi fino a una mortifera follia.
Le due letture fanno bene da complemento alle parole del Vangelo. All'ingordigia sfruttatrice di denaro, presentata nella prima lettura, si oppone la preghiera come atto di carità nella seconda lettura.
Dal profeta ascoltiamo l'invettiva contro gli avidi di denaro, che nei loro affari falsificano bilance e misure. Le accuse sono durissime: Amos ne parla come di coloro che calpestano il povero, sterminano gli umili nel paese, comprano con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali. Non sono esagerazioni; l'accumulo idolatrico del denaro opprime i poveri. Così era al tempo del profeta e così è oggi.
E certo, ci penserà il Signore a rialzare il povero - dice il salmo - ma allo stesso tempo non dimenticherà le opere malvagie di chi lo ha calpestato.
Di tono diverso, esortativo, è la seconda lettura, nella quale san Paolo invita a pregare per tutti perché tutti possano giungere a conoscere la verità di Cristo. Bisogna pregare particolarmente per quanti sono al potere e detengono le sorti dei popoli affinché ci sia un buon governo e si possa vivere in pace e dignità. La preghiera è cura degli altri e contrasto al male.