Omelia (21-09-2025) |
don Andrea Varliero |
Ladri di Misericordia Siamo ancora seduti a tavola, ancora non ci siamo alzati: si sta così bene quando si gustano parole buone come il pane e quando il pane ha il gusto dell'amicizia. È la stessa tavola dove il gusto del cibo ha lasciato posto al sapore delle parole; ci si nutre della sua parola, ci saziano le sue parabole. È la stessa tavola sbilenca di un'umanità che sembra quasi un circo felliniano, da film neorealista, una tavola di peccatori, di traditori, di gente poco religiosa, poco devota, poco coerente, gente niente per bene. Attorno a questa tavola si irrigidisce l'occhio lungo dei farisei, si leggono a chiare lettere i loro pensieri dagli sguardi incupiti: guarda con chi si è seduto, guarda che tavola di farabutti ha imbastito questo fenomeno di Messia! E abbiamo ascoltato, con cuore disarmato, la parabola del Padre Misericordioso, abbiamo sentito su di noi quell'abbraccio verticale e quella dignità ritrovata nel ritornare a casa. Ora tocca a noi, ed è tutta un'altra storia: dopo l'abbraccio verticale è necessario quello orizzontale, quello capace di abbracciare il fratello. Non esiste uno senza l'altro, non esiste l'abbraccio del Padre senza quello del fratello, ne va del Padre Nostro, ne va della Croce. Per questo abbraccio orizzontale di fraternità mi chiede una prospettiva scomoda, impossibile: indossare i panni di un amministratore disonesto, che distrugge l'immagine buona di sé, capace di tradire persino la fiducia del suo padrone. A me, amministratore disonesto, è chiesto di rendere conto di quello che faccio, del tempo che vivo, del lavoro che svolgo, delle relazioni che intesso. E mi rendo conto che sono sempre in perdita. Rendere conto. Abbiamo vissuto un momento di condivisione con i volontari che vivono la carità a nome della comunità intera, il centro di ascolto parrocchiale. Naturalmente, ne sono emerse storie per niente edificanti, per niente corrette: qualcuno se ne approfitta, qualcuno non è poi così bisognoso come vuol far credere, qualcuno fa il furbo, qualcuno non se lo merita. Ecco, il povero è così: non è una poesia, non è uscito da un libro di Natale ottocentesco. Il povero è tante, troppe volte un «poverino» di umanità, una contraddizione. Se fosse irreprensibile, che povero sarebbe? E dunque, gli sbarrerò la porta in faccia? E dunque, non lo accoglierò mai più? Quell'amministratore disonesto chiede oggi di ascoltarmi più in profondità, chiede di abbassare il mio «io» e di sgonfiare il mio essere paladino della Giustizia Assoluta. Ladro lo sono anche io, anche il mio cuore è povero, poverino. Un cuore contradditorio, per niente cristallino. Il mondo biblico lo sa, non è un manifesto del buonismo: l'uomo non è mai buono a priori. Il cuore dell'uomo è un abisso, canta il salmista. Io vedo il bene che dovrei fare, eppure continuo imperterrito lungo la strada del male, sospira San Paolo. Nessuno è buono, se non Dio, taglia corto il Signore. Provo anche io a gettare la maschera, ad ascoltare questo cuore meschino, cuore disonesto, cuore ladro, che è capace di rubare persino la Misericordia, di farsi amici con la disonesta ricchezza. Parafrasando Giorgio Gaber, mi viene da dire: «Non temo l'amministratore disonesto in sé, ma l'amministratore disonesto che è in me». Quali pretese posso avanzare davanti a Dio? Quale irreprensibilità posso ostentare? Quale baluardo di giustizia posso innalzare? Sono abitato unicamente dalla sua Misericordia, sono stato unicamente salvato da Lui, che mi ha fatto nascere nella parte ricca del pianeta. Almeno, una disonesta amicizia che ci renda complici di bene. E Dio loda quell'amministratore disonesto, sa che in mezzo a questa contraddizione, che si chiama umanità, qualcosa di fraterno può nascere. Dalla perfezione, dai diamanti, nulla mai nasce. Dal letame, dall'incoerenza, persino dall'umanità più furba, può nascere persino un fiore. E mi chiede un qualcosa di difficile: la fedeltà alle piccole cose di ogni giorno. A me, pronto ai grandi sogni, pronto agli immensi slanci, pronto ai cristallini ideali, chiede una piccola fedeltà quotidiana. Lì, nella fedeltà alle piccole cose, si gioca l'immenso, si gioca l'Amore. Lo sapeva San Francesco: «Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all'improvviso vi sorprenderete a fare l'impossibile». Quest'uomo, Gesù di Nazareth, è davvero esperto di umanità, è davvero capace di unire la Terra al Cielo, e il fratello al fratello: fatevi degli amici, almeno con la disonesta ricchezza. |