Omelia (21-09-2025)
padre Ezio Lorenzo Bono
IL SEGRETO DI ARLECCHINO


I.

"Il servitore di due padroni"
, meglio conosciuta come "Arlecchino servitore di due padroni", è una delle opere più famose della storia del teatro, scritta da Carlo Goldoni nel 1745. Il protagonista, Arlecchino - chiamato in scena Truffaldino - pur di mangiare a sazietà si mette contemporaneamente al servizio di due padroni a loro insaputa, creando una serie di guai ed esilaranti equivoci nel tentativo di non essere scoperto. A quasi trecento anni di distanza questa storia resta attuale e continua a riempire i teatri. Anche l'uomo contemporaneo, come Arlecchino, spesso si barcamena tra situazioni contraddittorie, finché l'inganno viene smascherato.
Colpisce la descrizione del personaggio fatta dallo stesso Goldoni, che lo definisce "servitore sciocco ed astuto nello stesso tempo". E anche il giudizio di un critico teatrale che ne esaltava la prontezza, la scaltrezza, la capacità di adattarsi e di sopravvivere. Giorgio Strehler, nella sua celebre messa in scena, aveva identificato Truffaldino con la maschera bergamasca di Arlecchino.

II.

L'amministratore scaltro della parabola del Vangelo di questa domenica, assomiglia ad Arlecchino. Accusato di truffa, il padrone lo chiama a rendere conto della sua gestione. Stranamente non lo caccia subito, come avremmo fatto noi, ma gli lascia un margine di tempo per sistemare le cose. Ed è qui che l'amministratore si gioca tutto: non ruba di nuovo al padrone, ma rinuncia alla propria percentuale di guadagno - quel 20, 30 o addirittura 50% che gli amministratori aggiungevano come commissione perché non avevano una paga fissa - e la condona ai debitori. Così facendo, i conti tornano: il padrone riceve il suo, e lui si guadagna amici e un futuro assicurato. Per questo il padrone loda la sua intelligenza: non la furbizia disonesta, ma la capacità di trasformare una crisi in un'opportunità.
E Gesù conclude: "Nessun servitore può servire due padroni". Già Arlecchino non è riuscito a reggere a lungo con due padroni simili, figuriamoci se possiamo riuscirci noi con due padroni opposti come Dio e Mammona. Dio invita a donare, la ricchezza spinge ad accumulare. Sono due logiche inconciliabili. La ricchezza, infatti, è in sé atea: ti dà l'illusione di non avere più bisogno di Dio, finendo per sostituirsi a Lui.

III.

In conclusione.
Steve Jobs, nel celebre discorso "Stay hungry, stay foolish" pronunciato a Stanford nel 2005, raccontò che proprio il suo licenziamento da Apple - la società da lui fondata - si rivelò la cosa migliore che gli fosse capitata. Quella crisi lo liberò da molti vincoli e aprì la stagione più creativa della sua vita. Fondò una nuova società, che la stessa Apple poi acquistò, riportandolo alla guida. "Sono sicuro - disse - che niente di tutto questo sarebbe successo se non fossi stato licenziato".
Tre secoli prima, Arlecchino sembrava già incarnare la figura dell'uomo affamato e un po' folle descritta da Jobs. E anche l'amministratore della parabola: senza quel licenziamento non avrebbe mai rivoluzionato la sua vita né conquistato tanti nuovi amici.
La parabola ci ricorda che tutto è di Dio e noi siamo soltanto amministratori. Un giorno saremo chiamati a rendere conto. Ma come quel padrone, anche Dio ci lascia tempo e possibilità di riscatto. Ci insegna che il modo migliore per far quadrare i conti non è accumulare, ma donare; non chiudersi, ma creare legami; non servire due padroni, ma scegliere l'unico che rende liberi. Alla resa dei conti, non conteranno i beni che avremo posseduto, ma le persone che avremo reso felici, gli amici che avremo conquistato, i cuori che avremo rialzato.
Ecco il segreto di Arlecchino, che fu il segreto dell'amministratore e lo stesso di Jobs: osare, rischiare, donare.
Il segreto è uno solo: sii affamato di bene, sii folle d'amore... e il Signore, alla fine, pronuncerà anche su di te la sua lode.


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