Omelia (14-09-2025) |
padre Gian Franco Scarpitta |
La croce e chi la portò Potrebbe suscitare stupore che si celebri una giornata dedicata alla croce, così come che si veneri la croce durante la celebrazione annuale del Venerdi Santo, quando la si ostenta e poi le si rivolge un segno di devozione (un bacio o altro). Come se fosse piacevole e bello dare rilevanza a uno strumento di condanna capitale, quale potrebbe essere oggi una sedia elettrica o una ghigliottina ai tempi della rivoluzione francese. Considerando poi che in epoca romana la crocifissione era (e anche ora lo sarebbe) il ricorso più crudele e spietato con cui si condannava a morte, diventa ancora più perplimente dare attenzioni a uno strumento di pena capitale. Di crocifissione morirono anche i due ladroni appesi ai lati di Gesù e tante altre persone accusate di omicidio, sedizione o rivolta, secondo la previsione dell'imperatore romano. Vi fu qualcuno però che vi fu appeso non perché accusato di questi misfatti tremendi, ma solamente perché "si era fatto Figlio di Dio"(Gv 19, 11). Non vi era alcun motivo serio di condanna a morte secondo la legiferazione vigente romana e il procuratore Pilato sapeva benissimo che sarebbe stato suo dovere liberarlo. Invece, asseconda la volontà dei Giudei che volevano mettere a morte Gesù per sole motivazioni religiose e teologiche e per un certo cenno alla presunta distruzione del tempio di Gerusalemme, peraltro non comprovata (Gv 2, 19 - 21). Acconsente che si risparmi la vita di un sovversivo assassino per mettere a morte Gesù. Questi sapeva benissimo per filo e per segno cosa gli sarebbe capitato e non da' segni di rimostranza o di discolpa o di autodifesa. Acconsente deliberatamente alla fustigazione, alle percosse, al flagello, all'aggravio di dover recare il patibolo della sua condanna fino al monte Calvario, allo strazio di dovervi essere appeso e al dolore lancinante dei chiodi che perforavano le sue membra per trapassarle fino al legno. E' appunto questo che si esalta della croce: la deliberata accettazione della condanna da parte di Gesù che pur essendo Dio e Verbo Incarnato nonché Re e Salvatore, ha deciso di sottomettervisi. Perché? Perché quello di essere appeso a una croce era l'unico modo per poter amare l'uomo fino all'estremo, riscattandolo dal peccato, pagando anzi egli stesso con il sangue il prezzo dei nostri peccati e delle nostre imperfezioni e riconciliando l'uomo con Dio. Con la croce ci ha resi degni di entrare in comunione con il Padre, ridandoci quella giustizia che ci mancava per poterlo fare. Morire sulla croce era considerato anche maledizione da parte giudaica ma proprio per beneficarci e risollevarci Gesù si è fatto per noi maledizione. Non si esalta quindi la croce in se stessa, ma lo strumento che è valso la nostra salvezza. Si venera il luogo, anzi il procedimento, per mezzo del quale Dio ha voluto riconciliarci a sé mostrando il suo amore estremo. Se non avesse fatto ricorso alla croce, Gesù suo Figlio non ci avrebbe redenti e qualsiasi altro strumento di condanna non sarebbe stato sufficiente a patire e a sacrificarsi per noi. La ghigliottina. La fucilazione, la sedia elettrica e la camera a gas hanno certo la loro crudeltà ed efferatezza, ma non comportano che si muoia dopo lunghe torture, spasimi e affanni, come quando si sta appesi a lungo in una posizione che distrugge il fisico e il sistema cardio circolatorio. Per non parlare della macelleria umana dei chiodi acuminati che squarciano la carne facendo sprigionare sangue. Non per niente Gesù pregava il Padre che, ferma restando la Sua indomita volontà, "passasse da lui questo calice" (Mt 26, 39). Quando poi il dolore è accompagnato dall'abbandono vigliacco degli amici e dalle altrui esecrazioni e canzonature, diventa ancora più insormontabile. Questo è lo strumento patibolare che Gesù ha voluto consapevolmente esperire sulla sua pella, da vero Dio e da vero Uomo e questa è la motivazione per cui lo si esalta e lo si riverisce. In questo strumento di grandi atrocità, Cristo ha mostrato che Dio sceglie ciò che il mondo tende a fuggire, abbracciando ogni sorta di avversità e di umiliante sconfitta che mai si riterrebbe concepibile agli occhi dell'umano. Un Dio che potrebbe piegare tutti alla sua volontà con la coercizione e con il predominio, e che invece preferisce morire su una croce per favore nostro. Come Mosè innalzò il serpente nel deserto (I lettura) per salvare gli Israeliti dai meritati morsi dei serpenti; così adesso il Figlio Gesù Cristo sarà innalzato dopo la croce: risusciterà dai morti, darà prova e manifestazione della sua gloria con le apparizioni, sarà innalzato al di sopra di tutte le creature e ascenderà al cielo per essere sempre con noi una volta vittorioso sulla morte e sul peccato. Cristo risuscitato non muore più, dirà poi Paolo. Se la croce è stata necessaria per la nostra salvezza, il suo riverbero è altrettanto necessario quando si verifichi sulle nostre membra o a proposito delle percosse e delle umiliazioni a cui la vita ci costringe. La croce ci si presenta tutte le volte che siamo chiamati a patire, a immolarci, a sottometterci alle pene fisiche e morali che ci sorprendono. Nessuno ne è dispensato e per quanto non vogliano chiamarla "croce"; anche coloro che non credono ne sono inevitabilmente sottomessi. Tutti gli uomini hanno la propria croce, anche se non tutti la riconoscono come tale attribuendo ad essa altre interpretazioni o atri nominativi. Nessun uomo ne è esentato. Non tutti gli uomini però sanno trarne vantaggio e fortificazione, non tutti sono capaci di perseverarvi poiché non tutti associano questa comune esperienza all'unica croce patibolare del Cristo che è stata molto più eloquente in fatto di sofferenza e di umiliazione. Solo chi ripone la speranza nella croce patibolare del Signore può comprendere il valore della propria croce e avvalersi della promessa che essa reca già in se stessa e accogliere sempre nella speranza la prova e l'umiliazione che essa comporta. E per tutti la stessa fede e la stessa speranza sarà foriera di conquista e di pace di cui è sinonimo la resurrezione. |