Omelia (31-08-2025) |
don Lucio D'Abbraccio |
L'arte di scegliere l'ultimo posto! Quante volte nella vita ci siamo trovati a sgomitare per farci notare? Pensiamoci un attimo. La corsa per accaparrarsi il parcheggio migliore, la sottile ansia di sedersi al tavolo "giusto" a una festa di matrimonio, il desiderio di avere più "like" degli altri sui social, la smania di essere menzionati per primi in un progetto di lavoro. Viviamo in una società che ci spinge costantemente a cercare il primo posto, a metterci in mostra, a dimostrare di valere più degli altri. È una gara continua, estenuante, che spesso ci lascia con un senso di vuoto e di insoddisfazione. Ed è proprio in questo mondo ossessionato dalla visibilità che la parola di Gesù oggi arriva come una brezza fresca e spiazzante. È a pranzo, in un contesto conviviale, e nota come tutti cerchino i posti d'onore. Allora racconta una piccola parabola: «Quando sei invitato a nozze, non metterti al primo posto». Non è una lezione di galateo. Gesù sta scardinando la logica del mondo: smetti di misurare la tua importanza in base a quanto sei visibile o applaudito. L'unico sguardo che conta davvero è quello di Dio, e Dio ha una classifica capovolta. L'ultimo posto diventa il luogo privilegiato, perché da lì Dio stesso ti innalza. Non si tratta di fingere modestia o di disprezzarci, ma di liberarci dall'ansia di dimostrare. È la libertà di essere semplicemente se stessi, amati da Dio non per i successi che collezioniamo, ma per quello che siamo. Sant'Agostino diceva con forza: «Se mi domandi quale sia la prima virtù del cristiano, ti rispondo che è l'umiltà; e la seconda, l'umiltà; e la terza, l'umiltà». L'umiltà non è sentirsi inferiori, ma mettersi al proprio posto davanti a Dio e, di conseguenza, servire gli altri. E allora pensiamo a chi, nel silenzio, vive già questa arte dell'ultimo posto: la mamma che prepara la colazione ogni mattina senza aspettarsi applausi, l'operaio che lavora con dedizione senza cercare riconoscimenti, il volontario che serve i poveri nell'anonimato. Questi sono i veri grandi agli occhi di Dio. Ma Gesù non si ferma qui. Si rivolge a chi lo ha invitato e aggiunge un'altra provocazione: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini». Invita invece «i poveri, gli storpi, gli zoppi, i ciechi»: cioè chi non può ricambiare. È la logica della gratuità, che rompe il calcolo del "do ut des". Quante volte, invece, anche i nostri gesti buoni sono inquinati da un secondo fine? San Giovanni Crisostomo ammonisce: "Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non trascurarlo quando lo vedi nudo nei poveri". San Basilio aggiunge: "Il pane che tu non mangi appartiene all'affamato; il vestito che non usi appartiene al nudo". Sono parole che ci riportano all'essenziale: amare non significa aspettarsi un ritorno, ma donare senza calcoli. Pensiamo al medico che si prende cura del paziente povero con la stessa dedizione riservata a chi può pagare, all'insegnante che dedica tempo extra allo studente in difficoltà, al commerciante che non specula nei momenti di emergenza. Sono piccoli Vangeli vissuti, piccole resurrezioni quotidiane, anticipazioni del Regno. Umiltà e gratuità: scegliere l'ultimo posto e invitare chi non può ricambiare. Sono due facce della stessa medaglia, la medaglia dell'amore vero che ci rende simili a Dio. Non è facile in un mondo che spinge alla competizione, ma è l'unica via per una felicità autentica. E Gesù promette: «Sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti». Affidiamo questo desiderio di conversione alla Vergine Maria, la donna dell'umiltà. Lei, piena di grazia, si è definita "la serva del Signore", scegliendo l'ultimo posto per accogliere il primo: Gesù. Nel Magnificat canta la gioia di un Dio che "ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili". Che Maria ci insegni l'arte santa di scegliere l'ultimo posto per trovare il nostro vero posto nel cuore di Dio. Amen. |