Omelia (24-08-2025)
padre Ermes Ronchi
La porta dei margini

La porta della parabola è stretta ma è aperta; stretta ma bella, perché apre su una mensa imbandita, un turbinìo di arrivi, dove Dio non è un dovere ma un vino di festa. Dalla porta limitata, una storia di salvezza.

Una sottile angoscia ci coglie davanti a quella porta stretta, angoscia che cresce quando la porta da stretta diventa chiusa, e quella voce da dentro risponde: «Non vi conosco».

Tutta la vita a cercarti, e ora sei Tu che ci allontani?

Il vangelo inizia con una porta piccola e una folla che le si accalca davanti.

Poi come in una dissolvenza appare una scena multicolore e allegra: verranno da oriente e da occidente, da nord e da sud e siederanno a mensa.

Ai credenti che si affollano davanti a porte sbagliate che non conducono da nessuna parte, la parabola dice: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta». Il testo originale dice: "lottate per passare, combattete", ma non contro chi fa ressa o contro le misure della porta. Contro qualcosa d'altro.

La porta stretta disegna i miei contorni precisi, i miei limiti, i confini del mio io. Sono i margini che mi restituiscono la mia immagine più autentica, liberata da tutto il superfluo.

Allora accetta serenamente i "no" che la vita ti dice.

E accogli i tuoi limiti, non i tuoi vanti.

David Turoldo raccontava: per anni ho abitato nella vecchia torre di un'abbazia millenaria. Ogni mattina uscivo da una porticina appena sufficiente per passare. Dovevo abbassare la testa, e mi pareva così di fare il mio inchino al mondo, alla pianura, alle case, alla creazione tutta.

La vita contiene misteri immensi, ma per entrarci devi lottare con la tua statura illusoria, con il complesso di superiorità, devi inchinarti.

Se potessimo sostituire l'indifferenza verso l'altro con l'inchino davanti ad ogni figlio di Dio, ad ogni vita, come il poeta da quella torre, ogni angolo del mondo diventerebbe casa.

La porta stretta l'ha passata anche Dio, quando si è chinato sull'umanità passando per la porta piccola dell'incarnazione. Una porta di umiltà, che non vuol dire abbassare la testa ma alzare gli occhi, distoglierli da sé e guardare verso il cielo, il mondo, le persone. Umiltà è tornare all'essenza delle nostre relazioni, a non possedere cose ma a sentirsi responsabili di tutto.

La porta della parabola è stretta ma è aperta; stretta ma bella, perché apre su uno spazio festoso, la mensa imbandita, un turbinìo di arrivi, dove Dio non è un dovere ma un vino di festa.

Stretta ma sufficiente. Infatti la sala è piena, vengono i lontani che forse non sono migliori di noi che siamo i vicini, ma hanno operato giustizia più di noi, magari senza saperlo. Sono i sorpresi, quelli che al giudizio universale dicono: ma quando mai Signore ti abbiamo visto povero! Lui li riconoscerà come suoi e spalancherà la porta.

Un paradosso non facile: entrano nella sala quelli che non hanno mai ascoltato e mai visto, e fuori restano quelli che hanno mangiato e bevuto con il Signore. È possibile stare a un millimetro da Lui, tra riti e formule, incensi e indulgenze, ma non conoscerlo davvero e rimanergli estranei, freddi al fuoco che è venuto a portare.

Dalla porta limitata, una storia di salvezza.