Omelia (30-08-2025)
Missionari della Via


Il brano del Vangelo di oggi, come sempre, ci offre delle chiavi di lettura preziose per la nostra vita. Come ai servi della parabola, a ciascuno di noi è stata data in dono una dote, dei talenti, che siamo chiamati a far fruttificare; e al ritorno del "Signore" (dunque al suo ritorno alla fine dei tempi ma anche all'incontro con Lui alla fine della vita) saremo giudicati su come li avremo impiegati, su come li abbiamo fatti (o meno) fruttificare. Questo ci dice almeno quattro cose importanti: in primo luogo ci ricorda che a ciascuno di noi è stato fatto un dono! Non solo quello della vita, ma anche della fede, dei sacramenti, e di tutte quelle capacità e attitudini personali che si innestano nella nostra unicità. A ciascuno vengono dati talenti secondo le proprie capacità (Mt 25,15): «Si tratta dunque di un dono "personalizzato". Si può dire che [...] Il dono affidatomi mi rivela a me stesso. Entrare nella logica del paragone e magari nella recriminazione, distoglie l'uomo dall'unica attività veramente sensata: conoscere se stesso e conoscere Dio, il Donatore, riconoscendo e accogliendo i doni ricevuti [...] Potremmo aggiungere che non solo ciò che abbiamo, ma anche ciò che siamo è dono di Dio. Noi siamo dono» (L. Manicardi). È bello, dunque, imparare a leggere tutto ciò che siamo e abbiamo come un dono. A volte rischiamo di perdere questa prospettiva e dare tutto per scontato, anche la presenza e l'amore delle persone che Dio ci ha messo accanto. Non dimentichiamolo: nulla è dovuto ma tutto è grazia! In secondo luogo questa parabola suggerisce l'importanza del nostro quotidiano. È proprio nel qui ed ora che possiamo realizzare la nostra umanità, che possiamo costruire relazioni belle, che possiamo lavorare per migliorare le cose attorno a noi. Karl Rahner, che ben comprese il valore della quotidianità, scrisse: «il quotidiano è lo spazio della fede, la scuola della sobrietà, l'esercizio della pazienza, il salutare smascheramento delle parole pesanti e degli ideali fittizi, l'occasione silenziosa per amare ed essere fedeli in modo autentico, la prova dell'obiettività, che è il seme della sapienza più alta». In terzo luogo questa parabola ci mostra l'importanza del tempo: i primi due servi si mettono subito all'opera per far fruttificare il dono ricevuto, mentre il terzo tergiversa, e con la scusa della paura, non investe, non si dà da fare, ma sciupa tempo ed opportunità. Il tempo: che grande dono di Dio! Ci farà bene chiederci: come lo sto usando? Non è che lo sto sprecando? Troppe volte ci nascondiamo dietro una frase: non ho avuto tempo. La domanda è: è proprio così? Non ne abbiamo o lo abbiamo usato male? Basterebbe chiedersi una cosa: quanto tempo trascorro (inutilmente) al cellulare? Infine questa parabola ci consegna una significativa prospettiva sul giudizio di Dio alla fine della nostra vita: il sogno di Dio è che durante la vita facciamo fruttificare i suoi doni mettendoli a servizio degli altri (è ciò che nella parabola viene espresso nei termini: affidare il talento ai banchieri). Il Signore non ci ha messi al mondo per farci una vacanza (per carità, anche questa serve al momento opportuno) ma per amare, per servire, per portare avanti la storia di salvezza, per migliorare il creato e la storia, per lasciare tracce di bellezza. È ciò che cercano di fare i primi due servi che l'hanno ben compreso (infatti impiegano subito i loro talenti); il terzo servo, invece, avendo un'idea distorta del suo Signore, per paura nasconde il talento senza impiegarlo. Non osa, non rischia, non si mette in gioco. Per paura di sbagliare, per paura del giudizio, rimane paralizzato. Il paradosso è che alla fine scarica la colpa sul padrone! Il ragionamento è: se tu non fossi stato duro io non avrei agito così. Se avessi investito il denaro e l'avessi perso, avrei dovuto restituire ciò che avevo perso. Chiaramente questa parabola non vuole essere un corso accelerato di economia, ma mette in luce come un'idea distorta di Dio possa paralizzare la nostra vita. di per sé il dono stesso consegnato a quest'uomo dice ben altro: dice la fiducia del padrone in Lui; fiducia che, purtroppo, quest'uomo invece non ha né nei confronti del padrone né di se stesso! Quest'uomo, bloccato dal timore del giudizio, centrato sul suo desiderio di sicurezza (quante volte nella vita non si muove mezzo passo in avanti per paura di sbagliare), arenato nella paura di spendersi e ingolfato nei suoi scrupoli rinuncia a mettersi in gioco, e così sciupa il dono e con esso l'occasione di dare un senso alla sua esistenza. Pensava di salvare tutto nascondendo il suo talento e invece ha perso tutto. Che il Signore ci aiuti a riscoprire la preziosità di ciò che siamo e di ciò che ci è donato, mettendoci in gioco per servire sempre di più e meglio, sapendo che è proprio nelle piccolegrandi cose di ogni giorno che ci giochiamo la felicità e il nostro giudizio finale: «Sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone» (Mt 25,21.23).