Omelia (15-08-2025)
don Lucio D'Abbraccio
La gioia che non sa aspettare!

Chi di noi, ricevendo una notizia bellissima, una di quelle che cambiano la giornata, riesce a tenersela per sé? Pensiamoci un attimo: abbiamo passato un esame importante, ci hanno offerto quel lavoro che sognavamo, abbiamo scoperto che un nostro caro sta bene dopo una grande preoccupazione... cosa facciamo? La prima cosa è prendere il telefono, o correre dalla persona che amiamo per condividere quella gioia. La gioia, se è vera, è contagiosa, non sa stare ferma, ha bisogno di essere donata.
Ecco, il Vangelo di oggi ci racconta proprio questo. Maria ha appena ricevuto la notizia più incredibile della storia: diventerà la madre di Dio. E cosa fa? Resta chiusa in casa a pensare a quanto è stata brava e fortunata? No. Il Vangelo dice che «si alzò e andò in fretta». Ha una fretta santa, la fretta della carità. Dentro di sé non ha solo una bella notizia, ha Gesù. E non può tenerlo per sé. Corre da sua cugina Elisabetta, un'altra donna che vive un miracolo, per condividere questa gioia immensa.
L'incontro tra queste due donne è straordinario. Non è solo un saluto tra parenti. È l'incontro tra l'Antico e il Nuovo Testamento. Appena Maria saluta, il bambino che Elisabetta porta in grembo, Giovanni Battista, esulta di gioia. Riconosce il suo Signore. Vedete, la presenza di Gesù, anche se nascosto nel grembo di Maria, porta gioia, fa sussultare la vita.
E noi? Quante volte corriamo «in fretta»? Spesso la nostra è la fretta dell'ansia: devo pagare le bollette, devo correre al lavoro, devo sbrigare mille commissioni. Maria ci insegna un'altra fretta: la fretta di portare Gesù agli altri. Come? Con un sorriso a chi è triste, con una telefonata a una persona sola - la nostra «Elisabetta» che magari attende una visita -, con un piccolo gesto di perdono in famiglia. Anche noi, come Maria, possiamo portare Gesù nel mondo.
E qui ci colleghiamo alla festa che celebriamo oggi: l'Assunzione della Beata Vergine Maria. Potrebbe sembrare una cosa complicata, un concetto teologico lontano da noi. Invece è semplicissimo e ci riguarda da vicino.
La Chiesa, fin dai primi secoli, ha sempre creduto che Maria, alla fine della sua vita terrena, non abbia conosciuto la corruzione del sepolcro. Le antiche tradizioni parlano della Dormitio Mariae, cioè della «Dormizione di Maria». Non una morte disperata, ma un addormentarsi dolce nell'amore di Dio, per essere subito dopo accolta, assunta, in cielo con tutta se stessa: in anima e corpo. Nel 1950, Papa Pio XII ha semplicemente messo il sigillo su questa fede antichissima, proclamando il dogma dell'Assunzione.
Perché proprio lei? Pensiamoci con una logica molto umana. Il corpo di Maria è stato il primo tabernacolo della storia, ha custodito per nove mesi il Figlio di Dio. Poteva Dio permettere che quel corpo, quel «tempio» santo, finisse in polvere? Assolutamente no. Come dice un Padre della Chiesa, san Giovanni Damasceno, era giusto che «Colei che nel parto aveva conservato illesa la sua verginità conservasse senza corruzione il suo corpo dopo la morte».
L'esempio quotidiano è questo: se noi avessimo un cofanetto preziosissimo che ha contenuto il gioiello più importante della nostra vita, lo getteremmo via una volta vuoto? No, lo conserveremmo con la massima cura, in un posto d'onore. Dio ha fatto lo stesso, in modo infinitamente più grande, con il corpo di sua Madre.
Ma attenzione, la festa dell'Assunzione non è solo per celebrare Maria. È una festa che parla del nostro futuro. Maria Assunta in cielo è la nostra speranza. Ci dice una cosa meravigliosa: anche noi siamo destinati al Paradiso, con la nostra anima e, alla fine dei tempi, anche con il nostro corpo. Il nostro corpo non è un «optional», non è una prigione dell'anima da cui liberarsi. Il nostro corpo è sacro. Con questo corpo noi lavoriamo, amiamo, soffriamo, preghiamo. E questo corpo è destinato alla gloria.
L'Assunzione ci ricorda che la nostra meta non è qui. Siamo pellegrini su questa terra, diretti verso la Casa del Padre. Maria è semplicemente la prima della cordata, è già arrivata alla cima e da lì ci incoraggia, ci tende la mano e ci dice: «Coraggio, la strada è questa. Ne vale la pena!».
Allora, uscendo da questa chiesa, portiamo nel cuore due cose. La prima: impariamo la «fretta santa» di Maria, la fretta di portare la gioia di Gesù agli altri con piccoli gesti. E la seconda: «guardiamo al cielo con speranza». Maria Assunta ci ricorda che la fatica di ogni giorno, le nostre gioie e i nostri dolori, hanno un senso e una meta gloriosa. Lei è la prova che l'amore di Dio vince sulla morte.
Chiediamo a Lei, nostra Madre celeste, di aiutarci nel nostro cammino, per poter un giorno raggiungere la gioia che non ha fine, insieme a Lei e a tutti i santi, nella gloria del Paradiso. Amen!