Omelia (10-08-2025) |
don Lucio D'Abbraccio |
Cintura allacciata, lampada accesa: pronti per la felicita? Quante volte al giorno controlliamo il telefono? Aspettiamo un messaggio importante, una notifica, una chiamata che potrebbe cambiarci la giornata. Viviamo in uno stato di attesa costante. Aspettiamo il fine settimana per riposare, le ferie per viaggiare, lo stipendio per pagare le bollette. L'attesa fa parte della nostra vita. Ma c'è un'attesa più profonda, più importante, di cui ci parla Gesù nel Vangelo di oggi. Un'attesa che non genera ansia, ma che apre alla vera felicità. Il Vangelo di Luca che abbiamo ascoltato inizia con una frase che è una carezza per l'anima: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno». In un mondo che ci spinge a temere tutto - il futuro, la malattia, il non farcela - Gesù ci dice: «Fidati. Non sei solo». Il Padre non è un padrone esigente, ma un Papà che vuole donarci la cosa più bella che ha: la sua casa, la sua gioia, il suo Regno. Subito dopo, però, Gesù ci dà un'indicazione pratica che sembra andare controcorrente: «Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli». Attenzione, non ci sta chiedendo di diventare tutti dei senzatetto. Ci sta chiedendo di fare un «check-up» al nostro cuore. Dove stiamo investendo le nostre energie, il nostro tempo, i nostri affetti? Siamo onesti: quante cose accumuliamo pensando che ci diano sicurezza? L'ultimo smartphone, l'auto nuova, i vestiti firmati. E poi viviamo con l'ansia che si rovinino, che ce li rubino, che passino di moda. Gesù ci suggerisce un investimento molto più redditizio e sicuro: investire in amore. Il «tesoro nei cieli» non è qualcosa di astratto che avremo solo dopo la morte. Il tesoro nei cieli lo costruiamo qui, oggi. Ogni volta che rinunciamo a un po' del nostro tempo per ascoltare un amico in difficoltà, stiamo mettendo da parte un tesoro. Ogni volta che aiutiamo un collega in ufficio senza aspettarci nulla in cambio, la nostra «borsa celeste» si riempie. Ogni volta che perdoniamo chi ci ha offeso, stiamo depositando un capitale d'amore che nessuno potrà mai portarci via. Questo è il tesoro che non teme né ladri né tarme. E come si custodisce questo tesoro? Gesù ce lo spiega con un'immagine molto concreta: «Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese». Pensate a un vigile del fuoco o a un medico del pronto soccorso. Non possono permettersi di dormire profondamente. Devono essere sempre pronti a scattare al primo allarme. Oppure, un esempio ancora più vicino a noi: pensate a una mamma o a un papà con un bambino piccolo. Anche quando dormono, hanno un orecchio teso, pronti a svegliarsi al minimo lamento. Non è un'attesa passiva, spaparanzati sul divano. È un'attesa attiva, dinamica, amorevole. Essere «pronti» nella vita spirituale significa proprio questo: vivere ogni istante con intensità e amore. Significa tenere la «lampada dell'attenzione» accesa per riconoscere il Signore che passa. E il Signore non passa con tuoni e fulmini. Passa nella richiesta di aiuto di un vicino anziano, passa nella pazienza che dobbiamo avere con i nostri figli dopo una giornata di lavoro, passa nel sorriso che regaliamo alla cassiera del supermercato. Il Signore bussa alla nostra porta continuamente. Siamo pronti ad aprirgli o siamo troppo distratti dalle nostre cose? A questo punto, Pietro, che è un po' come noi, pratico e diretto, chiede a Gesù: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». E Gesù risponde allargando il discorso. Parla di un amministratore a cui è stata affidata una casa. Se questo amministratore fa il suo dovere, si prende cura degli altri, distribuisce il cibo al momento giusto, allora sarà beato. Ma se pensa: «Il mio padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi»", allora quando il padrone tornerà all'improvviso saranno guai. Ebbene, noi siamo questi amministratori. Dio ci ha affidato la sua «casa»: la nostra vita, la nostra famiglia, i nostri talenti, la nostra comunità, il nostro mondo. Cosa ne stiamo facendo? Stiamo usando i doni che abbiamo ricevuto - chi sa cucinare, chi sa ascoltare, chi ha doti organizzative, chi sa pregare - per servire gli altri, per «dare la giusta parte di cibo a tempo debito»? Oppure ci comportiamo come se tutto ci fosse dovuto e pensiamo solo a noi stessi? La frase finale di Gesù è forte, ma è una grande verità: «A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto». Non è una minaccia, ma una chiamata alla responsabilità. Se abbiamo ricevuto l'amore di una famiglia, ci è chiesto di restituire amore. Se abbiamo ricevuto il dono della fede, ci è chiesto di testimoniarla con gioia. Non dobbiamo avere paura, ma sentire la bellezza di questa fiducia che Dio ha in noi. C'è un grande Padre della Chiesa, Sant'Agostino, che riassume tutto questo con una frase potentissima: "Timeo Iesum transeuntem et non revertentem", che significa: "Ho paura che Gesù passi e non ritorni". Non è la paura che paralizza, ma quel sano timore di sprecare un'occasione d'oro. La paura di essere così presi da noi stessi da non accorgerci di Lui che ci passa accanto, oggi, nella nostra vita. E chi meglio della Madonna ha saputo vivere questa attesa vigile e feconda? Maria è la donna dell' "Eccomi". All'annuncio dell'Angelo non ha perso tempo. Con la cintura già allacciata e la lampada della fede accesa, si è messa subito in viaggio per servire la cugina Elisabetta. Ha custodito ogni parola e ogni evento nel suo cuore, trasformandolo nel tesoro più prezioso. È stata l'amministratrice fedele per eccellenza, rimanendo pronta e presente fino al momento più buio, ai piedi della croce. Lei non ha mai smesso di attendere e sperare. Chiediamo a Lei, nostra Madre, di insegnarci l'arte di questa attesa santa. Che ci aiuti a tenere le cinture dell'amore sempre allacciate e la lampada della fede sempre accesa, per non lasciarci sorprendere dalla vita, ma per essere sempre pronti ad accogliere il Signore e a trovare, nel servizio, la vera e piena felicità. Amen! |