Omelia (10-08-2025)
don Alberto Brignoli
Il tesoro più grande

Al tempo di Gesù, gli uomini si vestivano indossando lunghe tuniche che arrivavano fino ai piedi; e più erano lunghe, più stavano a significare l'autorità della persona che le indossava. Ricordiamo tutti come Gesù spesso si sia scagliato contro le autorità religiose del suo tempo, che "amavano camminare in lunghe vesti" per essere onorati e salutati dalla gente, interessati più alla forma del loro apparire che alla sostanza del loro essere.
Quando, invece, si doveva lavorare, le vesti dovevano essere corte, per potersi muovere con comodità: e allora, si era costretti a sollevare la veste e a legarla ai fianchi, ben stretta, perché non cadesse e non intralciasse i passi di chi era intento a svolgere un'attività. Per tutti, l'immagine dell'uomo con la veste legata ai fianchi era quella del servo, del domestico di casa: si cingeva la veste ai fianchi per camminare comodamente ed essere pronto a svolgere, in tempi rapidi, tutto ciò che il padrone gli avrebbe richiesto.
Gesù stesso, nel Vangelo, si cinge la veste ai fianchi per lavare i piedi ai suoi discepoli: e questo diventa un look, un marchio, una sorta di distintivo del cristiano. Il vero onore, per Gesù, non viene dalla veste lunga che ti copre i piedi e t'impedisce di fare qualsiasi cosa. L'onore del cristiano viene dal mettersi al servizio degli altri; e allora, occorre cingersi la veste ai fianchi, come fanno i servi, i quali, vivendo in casa, rimangono a disposizione del padrone, ventiquattr'ore su ventiquattro.
I padroni a quel tempo viaggiano parecchio, soprattutto quelli che vivevano di commercio. E i viaggi non erano così semplici da compiere, capitava spesso di rincasare a qualsiasi ora del giorno e della notte: per questo, dovevano poter contare su una servitù sempre disponibile, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese. In quella grande casa che è il Regno di Dio abita, però, un padrone molto particolare: è un padrone che certamente ama essere servito, ma ancor di più ama servire, e allora, di ritorno da una festa di nozze dove sicuramente sarà stato servito e riverito, sente di dover essere riconoscente nei confronti dei suoi servi che sono stati svegli ad attenderlo, per cui si cinge la veste ai fianchi e si mette al loro servizio.
È proprio il servizio, la più importante delle caratteristiche del Regno di Dio: un Regno in cui le gerarchie sono totalmente stravolte. Alla base della sua piramide sociale, infatti, non ci sono i servi più umili, così come, in cima a tutto, non ci sta il padrone: il Regno di Dio vede, in cima, i servi più umili, e alla base di tutto il padrone, il Signore stesso, che sta in mezzo a loro non come il padrone a tavola, ma come colui che serve.
Del resto, il Signore di questo reame così particolare che è il Regno di Dio è fatto così: non ama regnare stando seduto su un trono, e nemmeno dando ordini da dietro una scrivania. Non è di quelli che, baciati dalla fortuna perché hanno ereditato enormi cifre o perché hanno raccolto il frutto del lavoro altrui, pensano solo a godersi le proprie ricchezze facendosi servire e riverire (per poi, come diceva il Vangelo di domenica scorsa, lasciare tutti i loro beni nelle mani di altri da un giorno all'altro). Questo è un Signore che si rimbocca le maniche (o, per dirla con il Vangelo di oggi, si cinge le vesti ai fianchi) e si dà da fare con le proprie mani, soprattutto per dare l'esempio ai suoi servi, perché un giorno, se saranno padroni, non si dimentichino mai di essere stati umili operai.
Finché ci troviamo qui, su questa terra, a lavorare per il Regno di Dio, lo dobbiamo fare senza risparmiarci, di giorno e di notte con la lampada ben accesa, pronti ad affrontare ogni emergenza, aspettando come unica nostra ricompensa la gioia di aver servito gli altri senza risparmiarci. Questo è il tesoro che conta: non un cumulo di ricchezze guadagnate non si sa bene come, ma la capacità di metterci al servizio degli altri come ha fatto Gesù, che ci ha dato l'esempio.
Pensiamoci bene, quando ci ritroviamo tra le mani piccole o grandi fortune, piccole o grandi somme di denaro, piccole o grandi eredità che, senza fare alcuna fatica, abbiamo ricevuto da chi ha lavorato duro per darci un futuro il più sereno possibile. Spesso sono il nostro tesoro, sì: ma facciamo in modo che non finiscano come tutti i tesori di questo mondo, sempre sotto il pericolo di essere trafugati dai ladri o consumati dal tarlo dell'avarizia. Facciamo in modo che quel tesoro che abbiamo ricevuto, in primis la vita, si conservi sicuro nei cieli, "vendendo ciò che possediamo e dandolo in elemosina", dice il Signore: ovvero, mettendoci al servizio degli altri.
Perché dov'è il nostro tesoro, là sarà anche il nostro cuore. E quale tesoro più grande potremo avere, se non quello di vivere felici e di rendere felici anche gli altri?