Omelia (10-08-2025)
padre Ermes Ronchi
Il privilegio

Dov'è il tuo tesoro, là corre il tuo cuore. Mio tesoro è un Dio pastore di costellazioni e di piccolissimi greggi, che chiude le porte della notte e apre quelle della luce. Questo sarà il Signore che io servirò, perché è l'unico che si è fatto mio servitore.

Il vangelo ambienta le tre parabole nella notte, nel buio intaccato solo da una piccola lanterna, che racconta un'atmosfera di fatica, di oscuro, di paure, ma anche di non resa.

Qualsiasi sia la tua paura, della malattia, di crisi geopolitiche, delle chiese svuotate, delle guerre, dei legami che si spezzano, del cambiamento climatico: Non avere paura, piccolo gregge!

Anche alla piccola Maria l'angelo dirà: Non temere questo Signore che si nasconde dietro la carne di un piccolo bambino. Non temere il suo l'amore disarmato e sottovoce.

Essere piccoli è un privilegio, agli occhi di Dio. E proprio a questi Gesù ripete: non temere. Il contrario della paura non è il coraggio ma la fede.

Come Abramo, che per fede è partito. Non era in una situazione precaria. Aveva greggi, armenti, una famiglia e una moglie, faceva parte di clan potente, ma non era soddisfatto. Eppure mancava qualcosa.

Inizia così la chiamata. Il termine ebraico è lech lechà, vattene dalla tua terra. Ma anche: vai verso te stesso, torna da te, vivi secondo i tuoi sogni, viaggia verso di te, diventa te stesso.

Per fede Abramo, per fede Sara, per fede anch'io: lech lechà, torna a te stesso, ritorna al cuore, con il coraggio di cercare, di sciogliere le vele, di partire, di abitare la vita da desto, pronto a vegliare su ogni germoglio che nasce.

Primo tempo della parabola: il padrone se ne va e ti affida tutto: le chiavi, la gente e i beni di casa.

Dio è il grande as­sente, che crea e poi si ritira. Un padre vero. La sua as­senza ci pesa, ma è la vera ga­ranzia della nostra libertà.

Se Dio fosse qui, visibile e incombente, chi si muo­verebbe più? Un Dio che si im­pone sarà anche obbedito, ma non sarà mai amato dai liberi figli che noi siamo.

Secondo momento: nella not­te i servi vegliano, con le vesti da lavoro e la lucerna accesa. Anche se è notte, tu vigila e lavora per la tua famiglia, la porzione di mondo affidata a te, la madre terra. Con quello che hai, meglio che puoi. Accendere una piccola lampada vale più di cento imprecazioni contro il buio.

Arriva il terzo mo­mento. "E se giungendo prima dell'alba, il padrone li troverà svegli"..."Se". Non è sicuro, non è un obbligo, è di più; non un dovere ma la garanzia di uno stupore:

Beati loro! Perché Dio è rimasto incantato. E mi immagino il volto sorridente del padrone a quella scoperta.

E li farà mettere a tavola, si cingerà le vesti, e passerà a servirli. Il punto sublime del racconto è questo: quando accade l'impensabile e il padrone si fa servitore dei suoi servi. Fantasia di Dio!

I servi sono signori. E il Signore è servo. Questo sarà il Signore che io servirò, perché è l'unico che si è fatto mio servitore.

Dov'è il tuo tesoro, là corre il tuo cuore. Mio tesoro è un Dio pastore di costellazioni e di piccolissimi greggi, che chiude le porte della notte e apre quelle della luce.