Omelia (03-08-2025) |
don Alberto Brignoli |
Meglio poveri e saggi che ricchi e ignoranti! "L'ignoranza è la peggiore delle povertà". Non si sa di preciso chi sia l'autore di questa affermazione: se fosse un ricco o un povero, forse non lo sapremo mai. Di certo, non era un ignorante. E se diamo per vera la sua affermazione, probabilmente non era neppure un povero, perché possedeva qualcosa di incommensurabilmente più grande di qualsiasi altra ricchezza, ovvero la sapienza. A nessuno di noi è dato di sapere con certezza quale sia la relazione tra ricchezza materiale e ricchezza di pensiero, ovvero se un ricco possa dirsi automaticamente saggio e sapiente o se un povero sia da ritenersi automaticamente ignorante. Qual è il rapporto tra i beni materiali e il bene della sapienza? Di fronte a una persona povera materialmente e ignorante, più che esprimere un giudizio non possiamo che prendere atto di una situazione riguardante la stragrande maggioranza dei poveri di questo mondo: la povertà materiale impedisce quasi sempre, a chi vi si trova immerso, l'accesso a un'istruzione minima e dignitosa, così come - per contro - chi si trova in una situazione di agio a livello economico ha quasi sempre la possibilità addirittura di scegliere la miglior forma di istruzione per sé o per i propri figli. Ma non necessariamente stiamo parlando di automatismi, e ragionando un po' ci accorgiamo come non sia possibile stabilire una scala di valori basata sul rapporto "ricchezza-saggezza" o "miseria-ignoranza". Al punto che esistono molte persone di umile - se non addirittura misera - estrazione sociale che hanno potuto accedere a gradi molto alti di formazione, giungendo in questo modo a dare un riscatto alla propria situazione di povertà, per sé e per i propri cari. Ciò dimostra che l'istruzione, l'educazione e la conoscenza sono sempre un investimento economico sicuro, a livello individuale ma anche a livello collettivo. Manca un'ultima combinazione, quella più drammatica e deleteria di tutte: la persona agiata economicamente e priva di qualsiasi formazione intellettuale o addirittura scolastica, o che, pur essendo istruita, di questo tipo di formazione non ha saputo fare tesoro. In pratica: non c'è peggior categoria al mondo che quella del ricco ignorante, dove per ignoranza non si intende necessariamente mancanza di istruzione, bensì mancanza di sapienza. E in ambito biblico, in particolare, la mancanza della sapienza che viene da Dio. Perché la chiave di lettura della Parola di Dio che la Liturgia di oggi ci propone sta tutta in quel termine che Dio, nella parabola di Luca che abbiamo ascoltato, rivolge al ricco che pensa solo a riposarsi, mangiare, bere e divertirsi: "Stolto". Anche se "ignorante", a mio avviso, rende meglio il senso dell'affermazione. Ora, che l'evangelista Luca non nutra una particolare simpatia per la categoria dei ricchi, è cosa abbastanza nota e avremo modo di ascoltare qualcosa al riguardo anche nelle prossime settimane. Ma qui non è questione di parteggiare per i poveri e di condannare i ricchi, bensì di mettere in guarda chi "accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio", ovvero chi - ignorando il vero senso della vita - è convinto di trovare nelle ricchezze il fondamento della propria esistenza. Ma le ricchezze, così come tutte le realtà umane che non pongono nella sapienza di Dio il loro fondamento, non danno alcuna sicurezza: anzi - come dice Qoèlet nella prima lettura e in tutto il suo profondissimo libro - sono "vanità", "hèvel" per dirla in ebraico, ovvero "nebbia", quella nebbia mattutina che si forma spesso nelle vallate umide e che, di fronte al primo raggio di sole, svanisce senza più lasciare traccia di sé. Proprio come la ricchezza, che illude gli uomini di poter essere un rifugio sicuro, che inganna l'animo umano facendogli vedere un mondo diverso, privo di pericoli e di incertezze, che nasconde all'uomo le insidie racchiuse al proprio interno fino a quando, come avviene con la nebbia, un soffio di vento se le porta via, e di ciò che l'uomo ha accumulato per sé non resta nulla. E tutta la nostra vita è un soffio o - come dice bene il salmo - come l'erba, "che al mattino fiorisce e germoglia e alla sera è falciata e dissecca". Ma questo, l'ignorante - peggio ancora se è ricco - non riesce a coglierlo. Ignora che, pur avendo lavorato più o meno onestamente tutta una vita, di quello che ha accumulato nella tomba non porta nulla: e anche se può goderne, ne gode per un tempo limitato, e poi deve lasciare qui tutto. A chi? "A un altro che non vi ha per nulla faticato", dice Qoélet; a dei figli che invece di ringraziare Dio per ciò che hanno ricevuto dai genitori litigano per l'eredità (quanto è attuale, il primo versetto del Vangelo di oggi...). Il ricco stolto ignora che, ad aver prodotto ricchezza, non sono state le sue mani, ma "la sua campagna che aveva dato un raccolto abbondante", e per la quale non aveva minimamente reso grazie a Dio; ignora che, pur avendo a disposizione "molti beni", non può dire altrettanto dei "molti anni", perché la sua vita - come quella di tutti - può terminare in un istante, anche qualora i suoi soldi gli permettessero le cure più innovative o addirittura l'elisir di lunga vita e di eterna giovinezza; ignora che le molte ricchezze non corrispondono ad altrettante sicurezze, anzi, procurano solamente "dolori e fastidi penosi che non fanno riposare il cuore neppure di notte"; ignora, soprattutto, che esiste un tesoro che vale molto di più di qualsiasi bene materiale, e che non si può acquistare grazie agli innumerevoli zeri presenti sul saldo del proprio conto corrente. Quel tesoro è nelle mani di Dio e della sua sapienza: e per acquistarlo, non serve un bonifico bensì - come ci ha ben ricordato il salmo - "imparando a contare i nostri giorni". I quali non sono eterni: proprio come le ricchezze. |