Omelia (21-09-2025)
CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie)
Commento su Am 8,4-7; Sal 112; 1Tm 2,1-8; Lc 16,1-13

In tempi in cui, come quelli che stiamo vivendo, il reato di corruzione e altri reati finanziari di molti amministratori disonesti riempie le pagine dei nostri quotidiani, il comportamento dell'amministratore disonesto di cui parla l'Evangelo di Luca non può davvero essere annoverato tra quelli da imitare, ancorché esso venga lodato dal padrone. Alcuni commentatori sostengono che la scelta da parte di questo amministratore di "condonare" ai debitori del padrone rispettivamente cinquanta barili d'olio e venti misure di grano non è stata in realtà disonesta, considerando che, al tempo della parabola, gli amministratori non percepivano uno stipendio, ma dovevano ricavare dall'amministrazione quanto spettava loro come compenso. La scaltrezza di questo amministratore consisterebbe dunque nella capacita di rinunciare a quei cinquanta barili d'olio e alle venti misure di grano - che per lui rappresentavano il compenso dell'amministrazione - al fine di poter essere accolto, al momento del suo licenziamento, dai debitori beneficiati. Ma, a parte queste considerazioni di esegesi storico-critica, nelle letture odierne vanno rilevate due specificità, entrambe importanti non solo dal punto di vista teologico e morale, ma anche pratico soprattutto per la famiglia.


La prima specificità è la chiave interpretativa Cristocentrica delle letture, ben specificata non solo dal canto al vangelo: " Gesù, da ricco che era, si fece povero, per arricchire noi con la sua povertà", ma altresì dal brano della seconda lettura, tratta dalla prima lettera di Paolo a Timoteo. In questo brano viene posto un principio importante, un'autentica professione di fede. In essa si proclama che la salvezza è universale, è data cioè a tutti, a ogni latitudine e longitudine, in ogni tempo, perché uno solo è Dio, e unica la mediazione di Gesù che ha dato se stesso non in riscatto di pochi, ma di tutti. Questa è la fede che tutte le famiglie dovrebbero professare e proclamare, al cospetto di tanti profeti di sventura che moralisticamente parlano di disfacimento della famiglia. Ogni uomo e ogni donna (contestualizzando, ogni coppia e ogni famiglia) sono arricchite da Gesù che si è fatto povero per loro e che dona loro la vita stessa di Dio. E la dona a tutte: regolari o irregolari, famiglie "modello" o un po' scalcagnate). Gesù accoglie tutti, senza distinzioni. Todos, todos, todos, come diceva, ma già inascoltato, Francesco. Lui, il Cristo, che non ha una pietra su cui posare il capo (mentre in un resort della mia città, una cena costa anche 300 euro, Lui che non si vergogna di piangere di fronte alla tomba di un amico, che salva una donna adultera dalla lapidazione, che si lascia lavare i piedi con le lacrime di una prostituta, non solo conosce, ma onora e accoglie la nostra fatica, la nostra debolezza e la nostra fragilità. È accanto al povero che non osa neppure entrare in chiesa e non a chi va in chiesa per onorare e lodare la propria virtù. Impossibile leggere questo brano senza provare un brivido di riconoscenza, e addirittura talvolta di incredulità: ma come è possibile tutto questo?, ci si chiede. Eppure è proprio questa la specificità della nostra fede. Se noi continuassimo ancora per due versetti la lettura dell'evangelo di oggi, registreremmo la secca e impietosa annotazione di Luca: I farisei, che amavano il denaro, udivano tutte queste cose e si beffavano di lui. Ed egli disse loro: «Voi vi proclamate giusti davanti agli uomini; ma Dio conosce i vostri cuori; perché quello che è eccelso tra gli uomini, è abominevole davanti a Dio. E forse è proprio qui il nodo fondamentale del nostro rapporto con la Parola ed in particolare sul tema della ricchezza / povertà: non la prendiamo sul serio; non riusciamo a tradurla in cultura. Quella che ci consente di essere "poveri" anche nelle piccole cose. Faccio due esempi. Ci indigniamo di fronte alle notizie giornalistiche che documentano come Amazon sfrutti gli addetti, ma non rinunciamo, pur avendo tutti i negozi in città, ad acquistare i prodotti che ci servono digitando comodamente un codice sul nostro cellulare; ci commoviamo di fronte a un rider che, per guadagnare i non sempre garantiti 6 euro l'ora deve attraversare le città assolate e con un calore irresistibile per coprire la pigrizia di clienti che, comodamente seduti in divano con la casa dotata di aria condizionata, aspettano la pizza che trovano scomodo comperare direttamente nella pizzeria poco distante da casa. Essere poveri non è solo questione di avere più o meno denaro, è questione di cultura.


La seconda specificità è fondamentale per la nostra vita, e non solo di famiglia che si riconosce nell'opzione cristiana, ma è addirittura fondante lo stesso evangelo: riguarda il nostro rapporto con il denaro. Il profeta Amos mette in bocca a Dio parole molto dure nei confronti di coloro che opprimono il povero e che lo vendono per un paio di sandali. Come ai tempi del profeta, che erano tempi di relativo benessere, così anche oggi, mentre i ricchi diventano sempre più ricchi, i poveri diventano sempre più poveri. Non solo, ma i ricchi pretendono di parlare in nome dei poveri e le loro scelte sono spesso avallate anche dalla comunità cristiana e da uomini "di Chiesa". Ci sono "buoni" credenti che non perderebbero una messa la domenica, ma che non hanno alcuna sensibilità nei confronti della giustizia e delle scelte politiche necessarie per ricostituirla. Spesso confondono questa giustizia con l'elemosina, dimenticando che non si può dare per carità ai poveri ciò che spetta loro appunto per giustizia. Ma la parola di Dio si spinge ancora oltre. Mettendo in contrapposizione Dio e mammona (cioè il denaro, la ricchezza, il potere) viene posto un altro principio altrettanto fondante: etimologicamente il termine "mammona" viene fatto derivare dalla radice ebraica mn la stessa presente nella parola amen, che richiama l'idea della stabilità, della certezza, della sicurezza. Affidandoci alla sicurezza del denaro, dunque, ci poniamo in alternativa alla sicurezza che Dio ci offre quando ci affidiamo a lui. Ma per poterci davvero affidare a Dio dobbiamo tagliare i ponti con mammona, che è incompatibile con la nostra vita cristiana di famiglia. La ricchezza, il denaro, hanno una funzione destrutturante per la coscienza: impediscono di vedere nelle persone il centro di orientamento collettivo, perché sono essi stessi centro di orientamento. La ricerca di accumulazione e del profitto si trasforma spesso in ossessione: fa emergere atteggiamenti ansiosi, frustrati e frustranti, aggressivi; crea personalità "monoculturali", tese verso un solo obiettivo, per raggiungere il quale (sia a livello personale che sociale, politico) viene eliminato ogni scrupolo; rende incapaci di cogliere gli aspetti più significativi dell'esistenza attraverso la freschezza dei genuini rapporti interpersonali. Il denaro, certo, dà un'illusoria forma di sicurezza e di potenza, ma paradossalmente più si instaura il rapporto idolatrico con il denaro e con il potere, più prende forma la coscienza dolente e tragica di impotenza etica nei confronti della liberazione (e dunque della salvezza). Non si possono servire due padroni. Oggi, in una società segnata da un relativo benessere dal consumismo più sfrenato (la domenica è difficile trovare un posto libero sugli enormi piazzali dei megastore per la quantità di persone che si trovano in questi "non luoghi") non siamo più capaci di sdegno nei confronti delle ingiustizie che i poveri devono subire senza avere la possibilità di reagire. Se qualcuno esprime la propria indignazione nei confronti di questa società e di coloro che la governano, più attenti a mettere granelli di incenso sulla loro vanità che non a lavorare per il bene comune, ma soprattutto di coloro che fanno più fatica, promettendo giustizia e realizzando ingiustizie sempre più diffuse, si sente rispondere: "è la democrazia, bellezza!".


Si tratta di un ricatto morale al quale dobbiamo ribellarci. Dobbiamo abituarci a riconoscere la vera democrazia da quella falsa e parolaia. Come cristiani, come famiglie costrette a sopportare il peso di immani fatiche, dobbiamo anche denunciare con forza i compromessi della coscienza cristiana con il mondo capitalista e borghese, e l'abbandono dei poveri al loro destino.

Severa lezione, quella di Luca in questo brano dell'evangelo, per la nostra comunità cristiana. Scrive Bruno Maggioni: "La comunità cristiana delle origini ha incontrato la tentazione di servire due padroni, Dio e il denaro, rompendo la totalità dell'appartenenza a Dio, che è un tratto caratteristico del povero del Signore. Nella sua variante più rozza questa tentazione consiste nel crearsi un cuore diviso: incapace di donarsi totalmente al Signore, di fidarsi unicamente di lui, l'uomo cerca la sua sicurezza nel possesso, illudendosi di servire Dio perché gli offre qualcosa delle sue ricchezze. Nella sua variante più sottile invece consiste nella illusione di accumulare il denaro non per se stesso, ma per la gloria di Dio. Ingenua illusione: anche se non cercato per se stesso il denaro riesce sempre infatti a trasformarsi in padrone. In ogni caso non è questo lo stile del povero del Signore, che conta, appunto, unicamente sul Signore ( La pazienza del contadino, pp. 161-162).


Traccia per la revisione di vita

1) Annunciamo a tutti la buona notizia della salvezza, cioè della liberazione, senza pregiudizi moralistici?

2) Siamo convinti che anche nella nostra vita di famiglia, Cristo è al centro e che, nonostante le nostre difficoltà, le nostre fatiche e le nostre infedeltà, ci dona la vita stessa di Dio? Riusciamo a riconoscere la presenza di Dio nella nostra vita anche nel tempo della notte, delle tenebre, delle difficoltà e delle crisi?

3) Ci fidiamo di Dio, ci affidiamo a lui oppure il nostro punto di riferimento è il denaro e la ricchezza? Facciamo scelte politiche conseguenti per restituire ai poveri la giustizia loro negata?


Luigi Ghia - Direttore della rivista dei CPM italiani Famiglia Domani