Omelia (13-07-2025)
padre Ezio Lorenzo Bono
LA CURA PER ME (Giorgia)

I.
In questi giorni, alla radio passa continuamente la bellissima canzone di Giorgia, La cura per me (scritta da Blanco), che racconta il suo viaggio interiore: da un amore che sembrava salvezza, ma che col tempo si rivela anche una prigione. Lei confessa: "Non so più quante notti ti ho aspettato / per finire a ingoiare tutta la paura / di rimanere sola / in questa stanza buia. / Solo tu sei la cura per me." Lei si aggrappa all'altro come unica speranza contro la solitudine.
Ma il vero cambiamento arriva più avanti, quando dice: "Spengo la paura di rimanere sola." È il segno di una guarigione: ha attraversato il dolore, la dipendenza, la paura... e ha scoperto di non essere più schiava del bisogno. Ora la luce viene da dentro: non è più dipendente dal bisogno di essere amata per non sentirsi sola e viva. È guarita. Ha compreso che lui era stato importante, forse necessario, in un tratto del cammino. Che entrambi, a modo loro, erano stati la cura l'uno per l'altra. Ma ora era giunto il momento di camminare da sola. E così ha spento la paura. Ha guardato la luna - non più riflessa nei suoi occhi, "quegli occhi che fanno da luna", ma nel cielo vero. Ora la stanza non è più buia, è illuminata dalla luce che viene da dentro. E conclude: "In questa stanza buia / Non sarò mai più sola / Per me."


II.
È proprio della cura che ci parla Gesù nel Vangelo di questa domenica, della cura del Samaritano nei confronti di chi era incappato nei briganti. Il gesto del Samaritano, che sente compassione e si china a soccorrere, è l'emblema per eccellenza del "prendersi cura". Quest'uomo non conosceva lo sfortunato: se era una brava persona o un malandrino, se era ricco o povero, se aveva studiato o era ignorante, se era giudeo, samaritano o straniero, se quello che gli era successo se l'era cercato, se era un regolamento di conti... ma "lo vide e n'ebbe compassione" (il verbo greco usato, ἐσπλαγχνίσθη, indica letteralmente il movimento interiore delle viscere, una compassione intima, profonda, viscerale). Anche il sacerdote e il levita lo videro, ma non si contorsero le loro viscere. Sembra che amare, più che un movimento del cuore, sia un movimento delle viscere.

Ci viene rivelata in questa straordinaria parabola l'essenza dell'amore, che non è l'essere amati, ma amare. Noi pensiamo sempre che saremo felici quando saremo amati veramente da qualcuno... eppure la corrispondenza in amore non sembra essere un elemento fondamentale per la felicità. Anche se non saremo corrisposti, anche se nessuno ci amerà, possiamo raggiungere ugualmente la felicità, perché il solo amare può riempire di senso e felicità la nostra vita. Amare senza aspettare il ritorno dell'amore: pura gratuità. Altrimenti non è più vero amore, ma interesse. Amare non è possedere. Anzi, per amore si rinuncia anche al possesso delle persone amate. Il Samaritano che si è preso cura di quell'uomo probabilmente non lo avrà mai più rincontrato. Ma non fa niente. Anche se non ha ricevuto un ringraziamento, un riconoscimento per quello che ha fatto, non importa. Non chiede nulla in cambio. Non cerca riconoscimenti. Ama, e basta. In questo gesto ci è rivelata l'essenza dell'amore cristiano che non è essere amati, ma amare.

Viviamo spesso nell'illusione che saremo felici solo quando troveremo qualcuno che ci ami davvero. Ma il Vangelo capovolge questa logica: si è felici non quando si è amati, ma quando si ama. Anche se non saremo corrisposti, anche se nessuno ci ringrazierà, anche se non riceveremo nulla in cambio, l'amore gratuito è la vera cura. È ciò che dà senso alla nostra vita. Chi ama gratuitamente è già salvo, già guarito.

III.
In conclusione.

E tu? Chissà quante volte hai detto a qualcuno: "Con tutto il bene che ti ho voluto, e tu invece..." Oppure: "Ho sempre aiutato tutti, e cosa ho ricevuto in cambio?" Questi sono i ricatti dell'amore non guarito, dell'amore ancora bisognoso, possessivo, in attesa di qualcosa. Ma l'amore vero non trattiene: libera. Non calcola: dona. Non aspetta il ritorno: parte comunque. Felice non è chi è amato molto, ma chi sa amare molto. È questa la via del Vangelo. È questo il segreto del buon Samaritano, che ha fatto della compassione la sua forza.
Ma perché dovremmo prenderci cura degli altri anche se non riceviamo nulla in cambio? Perché così ama Dio. E noi siamo chiamati ad amare non come gli uomini, che vogliono sempre essere ricambiati, ma come Dio, che si prende cura anche quando è ignorato, dimenticato, tradito.
Se all'inizio della canzone Giorgia implorava: "Solo tu sei la cura per me", alla fine è diventata lei la cura. E allora anche tu: non aspettare di essere la persona curata, non vivere nell'attesa che qualcuno si prenda cura di te. Diventa tu la cura. Diventa prossimo. Ama per primo, come Dio, senza chiedere nulla. E scrivi - con la tua vita, con i tuoi gesti, con la tua attenzione agli altri - una nuova canzone, il cui titolo non sarà più La cura per me, ma: La cura per te.

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