Omelia (06-07-2025)
don Lucio D'Abbraccio
Mandati due a due: la missione della vita quotidiana!

In queste calde domeniche d'estate, forse anche noi sentiamo il bisogno di rallentare, di prenderci una pausa. Ma proprio ora, nella XIV Domenica del Tempo Ordinario, il Vangelo ci sorprende con una parola forte e chiara: «Andate!». Gesù non si rivolge solo ai Dodici, ma invia «settantadue discepoli», un numero simbolico che rappresenta tutto il popolo di Dio, ogni battezzato, in ogni tempo. Dunque, anche noi siamo inviati.
E non ci manda da soli. Li invia «a due a due». Perché la fede non si vive in solitudine. Come scrive san Gregorio Magno, «nessuno può essere apostolo da solo, se non è anche fratello». La missione nasce dalla relazione, dal camminare insieme. Anche noi, nella nostra quotidianità, sperimentiamo quanto sia importante avere qualcuno accanto: un coniuge con cui condividere la vita, un amico fidato, un familiare che ci incoraggia. È proprio in queste relazioni che prende forma la missione: l'amore che unisce diventa già annuncio del Vangelo.
La famiglia, come ricorda la Chiesa, è la prima "chiesa domestica": il luogo dove la fede si vive ogni giorno, nella semplicità delle relazioni e dei gesti quotidiani. È lì che si impara ad amare, a perdonare, a donarsi. E tutto questo è già una vera missione.
Gesù, scrive l'evangelista Luca, afferma: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai». È un invito a pregare, non per ottenere più risultati, ma perché nascano cuori disponibili. La messe non è in terre lontane: è qui, attorno a noi. È nelle nostre case, tra i figli che si sono allontanati dalla fede, i vicini soli, gli amici scoraggiati. È lì che la missione comincia.
E come si annuncia il Vangelo nella vita quotidiana? Ce lo ricordano i santi. Sant'Ambrogio diceva: «Ogni uomo che incontri è un tuo prossimo: in lui è nascosto Cristo». E non servono grandi discorsi. A volte basta un sorriso, una parola gentile, una telefonata, una presenza discreta. Anche solo esserci con amore è già un Vangelo vivente.
Ricordo le parole di mia nonna che mi diceva: «Se vedi qualcuno triste, dagli un sorriso. È come una benedizione che non costa nulla». Questo è evangelizzare. San Giovanni Crisostomo lo conferma: «Non dire: non posso predicare. Anche con la vita, con i tuoi gesti, tu annunci il Vangelo». È la testimonianza silenziosa e quotidiana che parla più forte di mille discorsi.
Ma Gesù è realistico: ci manda «come agnelli in mezzo a lupi». Cosa significa? Portare il Vangelo significa affrontare ostacoli. A volte anche solo proporre una preghiera in famiglia, o parlare di Dio tra amici, sembra difficile. Eppure non siamo soli. L'agnello è fragile, sì, ma ha il Buon Pastore che lo guida e protegge. Origene diceva: «Colui che è mite e umile come l'agnello, vince con la pazienza coloro che sembrano più forti». L'amore disarmato ha una forza che il mondo non conosce.
Un altro insegnamento importante del Vangelo di oggi è questo: Gesù ci invita ad andare leggeri. Dice: «Non portate borsa, né sacca, né sandali». È un'immagine forte, che ci interroga. Di cosa dobbiamo alleggerirci per essere davvero disponibili? Sant'Agostino, in una delle sue omelie, spiega che «L'uomo ha il cuore in alto solo se ha vuoto il fondo». La "borsa", allora, può essere l'ansia che ci blocca, la "sacca" i rancori mai superati, i "sandali" le abitudini che ci chiudono agli altri. Il Vangelo si annuncia con mani libere, un cuore aperto, piedi pronti a camminare.
Gesù aggiunge un altro elemento decisivo: il primo dono da portare è la pace. «Pace a questa casa!». San Gregorio Magno scrive: «L'annunciatore del Vangelo è prima di tutto un portatore di pace, e solo poi un predicatore di parole». La pace non è solo assenza di conflitti: è la pienezza della benedizione di Dio. Portare pace significa essere presenza riconciliata: dove c'è rancore, offrire perdono; dove c'è silenzio, offrire ascolto; dove c'è solitudine, offrire compagnia. E anche quando la pace non viene accolta, dice sant'Agostino, «non si perde: ritorna su di te e ti rende più simile a Dio».
E proprio qui, nell'Eucaristia, ci prepariamo a ricevere e donare questa pace. Ci nutriamo della Parola e del Pane, per essere - una volta usciti da questa chiesa - missionari del quotidiano, strumenti discreti ma veri del Vangelo. Anche la nostra comunità parrocchiale deve essere un luogo in cui ci si sostiene a vicenda, "due a due", con amicizia e fede, per affrontare insieme la missione.
Infine, c'è un passaggio bellissimo. I discepoli tornano pieni di entusiasmo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Ma Gesù li corregge con dolcezza: «Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli». La vera gioia, dunque, non è nei risultati, ma nella relazione con Dio. Non è in ciò che facciamo, ma in ciò che siamo. La vera gioia consiste nel fatto che Dio ci conosce per nome, ci ama, e ci ha preparato un posto presso di sé.
Sant'Ambrogio scriveva: «La vera grandezza non sta nel fare miracoli, ma nell'essere amati da Dio», mentre sant'Agostino, con parole meravigliose, diceva: «Per te, uomo, Dio si è fatto uomo, affinché tu riconosca quanto vali ai suoi occhi». Anche una vita nascosta, fatta di preghiera, di cura silenziosa, di fedeltà nei piccoli gesti, è scritta a lettere d'oro nel libro del Cielo.
Affidiamo questo nostro desiderio di essere missionari semplici e gioiosi alla Vergine Santa.
Maria non ha girato il mondo per predicare, ma nessuno più di Lei è stato missionario. Con il suo "" ha portato Gesù nel mondo. Con la sua vita silenziosa a Nazareth ci ha insegnato la santità del quotidiano. Lei è la donna il cui nome è benedetto nei cieli e sulla terra. Che Lei, causa della nostra letizia, ci insegni a trovare la nostra gioia più vera non nel successo delle nostre opere, ma nella certezza che i nostri nomi, grazie a suo Figlio, sono scritti per sempre in Cielo, nel cuore di Dio. Amen!