Omelia (06-07-2025)
padre Gian Franco Scarpitta
Successo missionario sempre garantito

Settantadue discepoli vengono mandati per una missione temporanea. Sono persone differenti dagli apostoli, che (anche se in Luca vi è qualche riferimento anteriore) Gesù chiama in comunione più intima e permanente con sè (Mc 3, 14) e che poi verranno invitati dopo la resurrezione e l'Ascensione al Cielo in tutto il mondo ad annunciare la novità stessa della Resurrezione e l'avvento del Regno. Ciò sottolinea come la missione non appartenga solamente a persone scelte nella forma speciale per un ruolo precipuo permanente, ma può riguardare tutti, in qualsiasi momento e in ogni circostanza. Come Chiesa popolo di battezzati, siamo anzi coinvolti tutti nella missione di annuncio, ciascuno secondo un ruolo particolare e nulla vieta che possiamo anche essere tutti chiamati dalla missione secondo il concetto a noi comunemente noto.
Fatto sta che prima ancora di mandare questi settantadue nei luoghi in cui egli stesso dovrà poi recarsi, li invita a "pregare il padrone della messe", considerando che chiunque si disponga a un ruolo di annunciatore non può esimersi dal confidare innanzitutto in Colui che è all'origine di ogni attività missionaria e dal quale i risultati dipendono, perché, seppure la disponibilità di persone generose e volenterose è determinante per ogni battaglia, la vittoria sul campo non dipende dal numero dei soldati ma dall'intervento dal Cielo (1Mc 3, 19). I discepoli missionari questo devono considerare: essere strumenti di un mandato divino dal quale dipende ogni cosa, anche le apparenti sconfitte o i mancati risultati. Pregare il padrone della messe vuol dire affidarsi a lui, chiedergli che la missione stessa sia da lui favorita e confidare nella sua assistenza anche a proposito degli stessi operai, cioè dei profeti. Perché Gesù chiede di pregare il "padrone della Messe", se la vigna è del Padre suo? Non è consapevole egli stesso di dover provvedere ai lavoratori del suo terreno? Certamente non necessita delle nostre preghiere o raccomandazioni perché la messe abbia i suoi operai, tuttavia ci chiede che, nell'orazione convinta e fiduciosa, esterniamo la fede nel Signore e nella messe medesima: occorre che prendiamo coscienza che il terreno lavorato dal Signore è anche il nostro, che siamo tenuti a collaborarvi, a interagire gli uni con gli altri e a muoverci con fedeltà e creatività facendo ciascuno la propria parte. E occorre anche che adoperiamo umiltà almeno sufficiente a considerare che tutti quanto dipende appunto dal padrone, che è Dio. Che cioè in ogni caso tutto è possibile, ma solo a Lui e che da parte nostra siamo strumenti inutili.
Umiltà e fedeltà si esprimono così nella preghiera, e con essa precedono qualsiasi lavoro missionario.
Proprio dalla fede e dalla speranza di chi deve partire per l'annuncio sorgono del resto abnegazione, volontà e perseveranza, che sono qualità indispensabili per la missione.
Tali risorse di coraggio e di abnegazione devono essere tante e tali da non suscitare preoccupazione alcuna quanto al proprio sostentamento e alle necessità materiali: "Non portate né sacca né sandali... Restate in quella casa mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa." La fede da cui si è partiti ci rassicura che il Signore non lascia nessuno privo di mezzi, di forze o di capacità. Se tutto dipende dal Signore, Questi provvederà certamente al mantenimento, all'equipaggiamento e alla strumentazione adatta a che la missione si possa concretizzare e non resta che affidarsi a lui. Voler partire carichi delle nostre abituali comodità o non voler rinunciare a questo o quel beneficio mentre si opera nell'annuncio, potrebbe attestare che la nostra disponibilità missionaria verta a qualche privilegio o vantaggio personale o almeno da essa si vuol trarre profitto.
Ma qual è lo scopo esatto dei settantadue discepoli, scelti per un servizio missionario temporaneo? Effettivamente è quello della testimonianza. Essi sono chiamati ad annunciare il Regno, innanzitutto con l'esemplarità di una vita semplice e dimessa, capace di raccontare essa stessa ciò di cui Dio è capace. La loro presenza, il tatto, il modo di porsi e soprattutto il loro essere inviati due per volta sottolineano come sia importante essere testimoni in prima persona delle parole di cui si è latori agli altri. Del resto, la stessa Scrittura (Dt 19, 14 - 15) indica che qualsiasi testimonianza è veritiera e attendibile alla presenza di almeno due persone. Certamente alla testimonianza si accompagna la parola, l'esortazione e l'atteggiamento e l'azione caritatevole e su questo punto i Settantadue sono in tutto paritari a Gesù: guariscono, esorcizzano, risollevano da mali fisici e morali, sperimentando quanto l'opera di evangelizzazione, se bene intrapresa e motivata, apporti grandi soddisfazioni.
L'attività di questi inviati temporanei è quella dell'avanscoperta, quasi simile a quella del Battista che preannunciava l'arrivo del Messia nel mondo o agli emissari che entravano a Gerico per espiare la Terra Promessa (Gs 2, 1 -24); insomma annunciano e testimoniano una piacevole novità che coincide con il Regno di Dio presente nelle parole e nelle opere di Gesù Cristo e la loro gioia riflette quella del profeta Isaia, che alla Prima Lettura ci descrive la realtà della Nuova Gerusalemme come un fiume di pace e di prosperità, immagini allusive all'avvento dello stesso Regno inaugurato dal Messia, che per l'appunto è re di pace.
Dicevamo all'inizio che la missione dei 72 discepoli ci riguarda tutti, come battezzati figli di Dio e partecipi della missione e del sacerdozio di Cristo. Eccettuando rarissime occasioni, abbiamo lo stesso privilegio di veder guarire improvvisamente persone per mano nostra o di disseminare miracoli lungo il nostro percorso missionario, forse perché la nostra fede non è tale da scuotere le montagne (Mt 17, 20 - 21), ma nonostante i nostri demeriti Gesù si fida in ogni caso di noi. Ci rende strumenti sia pure inutili del suo annuncio e si avvale della nostra pur labile testimonianza, e garantisce ancora, a noi come agli apostoli e ai 72, che comunque noi faremo cose più grandi di lui"(Gv 14, 12) e anche senza eventi spettacolari e roboanti lo Spirito Santo che egli stesso ci ha donato apporterà senz'altro i suoi frutti, qualunque sia il contesto missionario in cui siamo chiamati a operare. Anche quando i risultati in apparenza non dovessero raggiungere le nostre soddisfazioni o quando dovessimo avere l'impressione di aver fallito, Gesù stesso ci ragguaglia del fatto che la missione è sempre consistente e quando sia svolta nel suo nome non conosce in nessun modo insuccessi né epiloghi fallimentari.